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LA CUCINA DELLE FESTE: La Pinza triestina del Venerdì Santo

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“Bona Pasqua, bone pinze” così, da sempre, ci si scambia gli auguri di Pasqua a Trieste.
La pinza è un dolce di pasta lievitata - una sorta di grossa brioche neutra, né dolce né salata -consumato generalmente per Pasqua a Trieste e Gorizia, che si contendono la paternità di questo pan dolce.
In realtà, come tutte le ricette, le origini sono varie e non proprio precise. Se ne trovano numerose tracce nei manuali di cucina cecoslovacca e austriaca; in Veneto esiste qualcosa di simile, ma assomiglia di più ad una focaccia schiacciata ricca di frutta secca e l’Artusi si riferisce alla “pinza friulana”come ad una focaccia di burro, zucchero e farina. Così come, ancora, nella cucina istriana la pinza compare come “tipo di panettone che si mangia per Pasqua”.




La cucina triestina rispecchia la realtà umana e storica di Trieste. Per secoli è stata una città al centro di tante influenze: da quelle Austro-Ungariche alle Boeme, dalle Slave alle Dalmate e Istriane e alle Greche, alle Turche e alle Ebraiche. In questo modo ha potuto assorbire ed elaborare le tradizioni culinarie più diverse. Ecco spiegato perché Ernesto Kosovitz, autore di molte opere sul dialetto triestino, definisce la pinza: “focaccia, pinza degli ebrei”, dando al termine “pinza” un origine ebraica, pitta, tanto che, sotto questo termine, si ritrova nella cucina greca una focaccia pasquale.
Nel passato la preparazione delle pinze impegnava le massaie per tutto il giorno: si cominciava la mattina presto a preparare il primo lievito, poi s’impastava, si lasciava lievitare, poi si reimpastava e si lasciava lievitare ancora…..perché la pinza ha bisogno di tre lievitazioni e di tantissima forza nelle braccia. Per fortuna oggi ci sono le impastatrici! A questo punto le pinze ben lievitate, pronte per la cottura, venivano portate al forno di quartiere a cuocere: tutte, rigorosamente, con un bigliettino di riconoscimento. Non fosse mai che qualcuno si appropriasse della pinza di un altro!
La pinza tradizionale ha la forma di un panettone basso, scuro e lucido con tre tagli profondi sulla cupola ed è molto ricca di uova e di burro che rendono le fette compatte, con un’alveolatura piccola. Non essendo particolarmente dolce è uso, a Trieste, servirla con il prosciutto cotto di Praga.
Con lo stesso impasto si preparano le Titole, delle piccole brioche a forma di treccina che terminano con un uovo sodo colorato di rosso.
Entrambi i dolci sono legati alle tradizioni della Pasqua: le titole simboleggiano i chiodi della crocifissione di Cristo, mentre sulla superficie della pinza vengono fatti tre tagli a croce che vogliono ricordare il martirio di Gesù. Una leggenda metropolitana racconta che se la pinza viene affettata prima della benedizione in Chiesa, dai suoi tagli scaturirebbe del sangue. Questo dunque è il motivo per cui non si può consumare la Pinza sino a quando non sia stata benedetta durante la Messa Pasquale.

Ingredienti:
1 kg di farina 0
70 g di lievito di birra, 
250 g di latte,  
200 g di zucchero, 
200 g di burro, 
la scorza grattugiata di 1 arancia, 
5 tuorli d'uovo, 
1 uovo intero, 
1 cucchiaino e mezzo di sale, 
2 cucchiai di rum.




Fate sciogliere il lievito con parte del latte, appena intiepidito, ed aggiungete un cucchiaino di zucchero e 2 cucchiai di farina. Lasciare lievitare per circa mezz’ora, fino a quando è gonfio e schiumoso. Nel frattempo fate fondere il burro e lasciatelo raffreddare.
Al lievitino così ottenuto aggiungete, poco per volta ed alternandoli, tutti gli ingredienti. Potrebbe essere necessario aggiungere ancora latte, questo dipende da quanto liquido necessita la farina: comunque, alla fine, l’impasto deve risultare corposo, compatto e liscio.
Lasciate lievitare fino a quando l’impasto raddoppia, ci vorrà circa un’ora, poi rilavorate la pasta per sgonfiarla e lasciatela raddoppiare nuovamente.
Trasferite l’impasto sulla teglia del forno - coperta con carta alimentare - dandogli la forma a palla tipica della pinza e lasciate di nuovo lievitare fino al raddoppio.
Infine spennellate la superficie con un uovo sbattuto e, con le forbici, praticate i tre tagli tipici. Cuoce in forno già caldo a 170° per circa 40-45’. La prova dello stecchino è indispensabile: se uscirà pulito ed asciutto, la pinza è pronta.
Bona Pasqua e bone pinze!
Lorenza Pilteri- ricettedistagione.com

LA QUARESIMA e il senso del digiuno delle Sante Anoressiche

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Si è concluso il lungo periodo durante il quale, per accogliere meglio il messaggio di rinnovo e di rinascita, ci si astiene dal cibo e, in taluni casi, dal "piacere della carne".
Le quaresime di bimba cattolica mi rimandano alle raccomandazioni della bisnonna Virginia, in cui quasi ossessivo era il richiamo all'osservanza dei precetti cristiani: mi veniva raccomandato non solo di non mangiare la carne (per quanto il mio aspetto fisico effettivamente emaciato suggerisse tutt'altro) ma anche di rinunciare volontariamente a qualcosa di particolarmente gradito, di goloso. Sarei diventata così "più forte nel resistere a tutte le tentazioni", della cui natura, ovviamente, non ero ancora a conoscenza.




Il digiuno non è una pratica esclusivamente cristiana ma è in questa religione monoteista, così fortemente misogina (ma non certamente nelle scritture), che assume un connotato tutto particolare, direi rivoluzionario: il controllo del proprio corpo, vilipeso ed oggetto di scandalo, attraverso una forma di digiuno estrema, l'anoressia che, fin dal Medioevo, ha dato luogo ad un fenomeno molto particolare ovvero quello delle Sante Anoressiche.

In tutte le religioni, a partire dai riti pagani e contadini pre-cristiani fino al volontario allontanamento dei maschi della tribù degli Xerentes per un intero ciclo lunare, l'arrivo della Primavera coincideva con la purificazione dell'organismo attraverso un arco di tempo in cui ci si dedicava alla meditazione ed alla preghiera (in quanto la forzata mancanza di cibo non avrebbe consentito di svolgere le normali attività quotidiane); Gesù di presentò al mondo dopo quaranta giorni trascorsi nel deserto, Buddha e Maometto vennero illuminati dopo un periodo di digiuno e le pulizie di primavera non solo altro che la traslazione dell'eliminazione di ogni forma di farina e lieviti dalle dispense, che avviene all'interno delle comunità ebraiche. Un periodo di tempo ben definito, per ricaricare corpo e anima e poi si ritorna alla vita normale, scandita da altri riti e dal trascorrere delle stagioni.


Ma per le sante anoressiche il digiuno non aveva mai fine perché era solo attraverso di esso che l'opposizione iniziale da parte delle famiglie, della comunità e dei padri confessori diveniva stupore e rispetto. Nel Medioevo le rinunce e le torture al proprio corpo non venivano considerate come pratiche irrispettose verso quanto donato dal Creatore ma come una modalità quasi esclusiva di accesso al divino. 
Nella Genesi l'uomo viene forgiato da Dio mentre la donna era la semplice derivazione sviluppata da una costola e le sue forme tondeggianti e così diverse da quelle maschili si pensava fossero autoprodotte. E se non le aveva prodotte Dio non potevano che essere farina del competitor più conosciuto, l'Angelo decaduto. E quindi esecrabili, da temere, da condannare.

L'unico modo di riappropriarsi della propria volontà e autodeterminazione non poteva che avvenire attraverso il controllo del proprio corpo: un controllo ferreo, assoluto. La privazione del cibo comportava anche l'assenza delle mestruazioni ovvero quel sangue "magico", temuto e per questo considerato impuro (Levitico) che comunque indicava fertilità e l'atto di potenza più incredibile, quello di generare la vita. Il corpo diveniva così invisibile, non più fonte di tentazione e degno di unirsi solo con Gesù, lo sposo divino.

Anche la Chiesa annovera in uomini dei santi che hanno fatto della privazione del cibo e della manifestazione delle stigmate il simbolo di un'unione totale con il divino, moltissime furono le sante anoressiche e, durante tutto il Medioevo fino all'inizio del Rinascimento, si presume che metà delle donne che divennero sante manifestarono forme estreme di anoressia. E solo il corpo di alcune di esse venne mummificato e esposto in teche, ad esempio di tutta la comunità. Le immagini che le hanno descitte nel tempo, create da pittori e sculturi, rimandano donne quasi completamente velate e coperte, con in mano un fiore o un ramoscello di ulivo (che Santa Teresa utilizzava per indurre il vomito e accogliere l'ostia in un momento di intima unione con Gesù) e un libro, ad indicare la totale dedizione alle Sacre Scritture, mentre l'espressione è di estasi, quasi di piacere, con lo sguardo a fissare il Divino che solo loro, e grazie agli immani sacrifici, erano in grado di vedere.


Le sante più famose sono sicuramente Santa Caterina da Siena, che con San Francesco scelse la via della donazione totale e dell'ascesi, e Santa Teresa d'Avila, nobildonna spagnola che divenne anche Dottore della Chiesa e che aiutò a riformarla in un perido storico di grande tensione, creando l'Ordine della Carmelitane Scalze.

La privazione del cibo come esperienza mistica e quindi come mezzo silenzioso per urlare il desiderio di affermare la propria volontà in un mondo che, da questo punto di vista, continua a restare ostinatamente sordo.

Anna Maria Pellegrino, www.lacucinadiqb.com

"inContestabilmente TU!" torna il food contest per tutti gli appassionati di cucina inserito nei Digital Food Days 2014

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Torna dall'8 maggio all'8 giugno il Digital Festival 2014 e all'interno dei Digital Food Days tornerà in scena la seconda edizione di ‘inContestabilmente TU', il food contest che ti mette in gioco, grazie alla collaborazione sempre più stretta tra Luoghi di Relazione e La Piazza dei Mestieri.

http://www.luoghidirelazione.it/


http://www.piazzadeimestieri.it/



L’iniziativa coinvolgerà il popolo appassionato di cucina e digitale, che sarà invitato a postare la foto di una ricetta realizzata utilizzando 2 dei 3 ingredienti indicati dalla giuria; è importantissimo inserire una fotografia originale della ricetta impiattata,correllata da una descrizione del piatto e dall’elenco degli ingredienti utilizzati.

TRE sono le categorie in gara: Primo, Secondo e Dolce! Per ciascuna categoria saranno selezionati tre semifinalisti, di cui due dalla giuria di esperti e uno che avrà ottenuto più voti online. I partecipanti potranno quindi coinvolgere i propri amici condividendo la ricetta su tutti i canali social, taggandoli o postando in bacheca il link alla loro ricetta, menzionando sempre l’hashtag del contest: #dfd14 #inContestFood.

I 9 semifinalisti si sfideranno durante la giornata di apertura dei Digital Food Days, in un evento di liveshow cooking per decretare il vincitore assoluto di questa 2° edizione!La semifinale si terrà in Piazza dei Mestieri mentre la finale in Spazio Mostre Regione Piemonte, in Piazza Castello, per un inedito flash mob culinario.

C'è tempo fino al 19 maggio per inviare la propria ricetta, trovando nel sito di "InContestabilmente Tu".

I PREMI:
Tanti i premi per chi arriverà alla finale di ‘inContestabilmente TU!’
- La Borsa Internazionale del Turismo Enogastronomico (BITEG) coordinata da Sviluppo Piemonte Turismo per la Regione Piemonte, offre a ognuno dei tre vincitori del contest la partecipazione* a uno degli eventi di #finefood #piemonte: incontri ravvicinati 2.0 con i produttori, i prodotti e gli chef d’eccellenza del territorio, tra i mesi di giugno e novembre 2014.
Alla scoperta dei prodotti d’eccellenza del Piemonte: dal campo al laboratorio, fino alla cucina.
- Città del Gusto di Torino del Gambero Rosso mette in palio alcune delle sue imperdibili guide “golose”: Guida Foodies e Guida Viaggiarbene.
E per il vincitore assoluto del contest, un Corso Amatoriale a scelta tra le proposte in programma da giugno a dicembre 2014.
*L’offerta comprende vitto, alloggio e attività correlate, secondo i programmi che verranno inoltrati direttamente ai vincitori.

LA GIURIA:
La giuria sarà composta da:



  • Mariangela Susigan, chef del Ristorante Gardenia di Caluso
    twitter colori
    @MSusigan

  • Sandro Giobbo e Laura Albè, rispettivamente direttore editoriale e collaboratrice per i reportage enogastronomici del magazine Convivium
    twitter colori
    @ConviviumReport

Incontrare la passione in Umbria sulla strada dell'Olio DOP

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Parlare dell’Umbria e dell’olio è quasi un obbligo.
Le dolci colline umbre sono ricoperte dal verde argenteo delle foglie di ulivo ed ogni borgo, ogni cittadina, ha almeno un frantoio che produce e commercia olio delle sei varietà olivicole principali.
Moraiolo da olivi che resistono bene al freddo e che dan frutti polposi e rotondi che hanno, oltre alla qualità anche una grande resa.
Leccino dove gli olivi sono grandi e possenti, con i rami che paion incurvarsi verso il terreno e che producono olive più allungate, ovoidali, resistenti al freddo e con una produzione ottima ma meno costante del Moraiolo.
Frantoio con olivi di media grandezza con rami che si contorcono verso il cielo mentre rami minori pendono verso terra portando olive grosse ed allungate ricche di polpa dalla quale ottenere un ottima qualità di olio anche se le piante sono meno resistenti al freddo.
San Felice coltivato nei Monti Martani, zona DOP di questa qualità, ha una media resistenza al freddo ed un buon contenuto di sostanze anti-ossidanti.
Pendolino pianta più discreta come dimensione, che par inchinarsi al suolo e produce olive grosse che ricordano la forma di una falce. A dispetto della sua buona resistenza al freddo e la sua produzione costante, l’olio che se ne ricava non è pari alla qualità del Frantoio e del Moraiolo ma viene coltivato come impollinatore delle altre due qualità.
Agogia con i rami che tendono verso il cielo, in piante più piccole che resistono bene al freddo anche nelle zone montane.
Altre qualità minori, come Raggio, Rosciola, Canino e Maurino pur presenti sul territorio umbro non sono sfruttate come le sei descritte sopra.
Il Lago Trasimeno, bacino tanto vasto (126 chilometri quadrati) quanto poco profondo (arriva ad una profondità massima di 6,3 metri) si stende pigro tra le colline dai verdi cangianti, adagiato mollemente al centro di questa regione.




Borghi bellissimi si specchiano dalle colline in queste acque placide. Uno di questi, Castiglione del Lago da un promontorio a picco sul lago spicca dalle chiome degli ulivi per dominare lo specchio sottostante.
Le foglie degli ulivi, il verde delle viti, i prati che lo circondano ne fanno una zona perfetta per tutti. Passeggiate, oasi naturali che si occupano degli innumerevoli uccelli che trovano nutrimento tra le canne che ne circondano le anse, in una delle loro tappe migratorie.
Le canne che sono stata fonte di lavoro per stuoie e altri lavorati, negli ultimi anni venivano acquistate nei paesi dell’Est Europa. Ora, grazie ad un’attenta gestione del territorio, sono tornate a far la loro comparsa sulle rive ed ad essere utilizzate.
Il lago è prevalentemente alimentato dalle acque piovane e, dopo quasi venti anni, quest’anno è il primo che (finalmente) si vede di nuovo il livello idrometrico arrivare al valore ZERO scongiurando i danni che la siccità porta ogni anno alla fauna ed alle coltivazioni della zona.
Le acque poco profonde sono ricche di sali minerali e tantissime specie di pesci hanno il loro habitat naturale in questa zona. La pesca e l’attenzione della Provincia di Perugia, si occupano della tutela delle numerose specie di pesci, ed nel Museo della Pesca di S. Feliciano trovan posto vecchi attrezzi  e reti usate nel passato ed oramai abbandonati per mezzi più moderni e funzionali.
Carpe, tinche, lucci ed anguille popolano queste acque basse e calde e vengono cucinate dalle trattorie locali con maestria, spesso condite con un *giro d’olio* della zona.
Molti sono i frantoi che raccolgono le olive da più aziende e ne fan produzioni eccellenti conosciute in tutta Italia. Altri coltivano e lavorano direttamente le olive di loro coltivazione.
Tra questi ultimi ne ho visitato uno che vanta una delle tenute più grandi della zona di Magione.
A ricevermi è Luca Palombaro in persona, che questa terra e la professione di produttore di olio l’ha ereditata e scelta per passione.



Romano, erede di un impero legato al legname ed alle costruzioni, sceglie di gestire quella che il suo bisnonno acquistò negli anni venti come tenuta di caccia dal Barone Schnabl, ebreo tedesco che cedette, per timore di quanto si stava manifestando in Europa,  tenuta e la relativa villa e che ne pretese il pagamento in oro.
Negli anni vennero aggiunti appezzamenti, ulivi, fino a raggiungere la vastità odierna.
Luca Palombaro ne ha subito il fascino sin da bambino ed ha deciso di lavorare a questo progetto con una passione che dimostra anche solo parlando della sua azienda.
La coltivazione comprende ben quattro delle qualità di olive sopra elencate: Agogia, Moraiolo, Leccino e Frantoio. La raccolta delle olive viene fatta rigorosamente a mano a partire dalla fine di Ottobre.
Gli si illuminano gli occhi quando parla della terra, quando ci mostra la foto dei suoi uliveti, quando ci apre le porte del frantoio.



Quasi una carezza alla macina in pietra, che ancora oggi lavora SOLO le olive prodotte nelle sue terre, mentre ci accoglie nella prima sala, imponente.
Le ruote di pietra vengono molate ogni due anni a mano da scalpellini che impiegano due settimane per ridare la curvatura necessaria a frangere le olive.
Innanzitutto l’olio viene ottenuto dalla premitura a freddo. Due tipi di olio vengono prodotti in questa tenuta, uno più amabile dalla varietà Agogia, indicato per il pesce e per le verdure. L’altro, dalle varietà Leccino, Frantoio e Moraiolo, con più carattere e che si sposa con le carni.
In fondo alla sala della macina una porta, quasi non si vede. Mi invita ad entrare ed ha uno sguardo sornione mentre sbircia la mia reazione.
Una sala con un soffitto a volta e, allineati come un esercito obbediente, orci di pietra antichi usati per il travaso dell’olio.
Ci spiega che recentemente la conservazione, per le nuove disposizioni riguardanti lo stoccaggio dei prodotti alimentari, avviene in cisterne di acciaio inox. Ma il fascino e la praticità degli orci di terracotta è unica.



Rimango a bocca aperta a veder questi orci (quello più antico è del 1400) alcuni con delle decorazioni raffiguranti i personaggi principali della nostra storia e della nostra cultura.
Mi sfida a riconoscerne i personaggi immortalati sui fianchi panciuti ed intravedo il profilo di Dante, la figura del Petrarca, e mi soffermo a guardare i coperchi in legno, leggermente sollevati dalle bocche per far *respirare* l’olio contenuto.
Il pavimento della cantina è fatto a mattoni , con due canali ai bordi e che al centro portano ad un foro coperto da un tappo di legno. Ci spiega che sotto ci sono due altri orci, interrati, dove l’olio *perduto* nei travasi o in rotture accidentali, veniva raccolto perché nulla fosse sprecato.
Ci salutiamo, sulla porta del vecchio ufficio, con la consapevolezza io di avere imparato qualcosa di più su un prodotto d’eccellenza e lui con l’orgoglio di aver condiviso la sua passione per il territorio e per questa terra. Passione che lo tiene legato al lago, agli ulivi, all’olio, come le radici dei suoi alberi.




Eleonora Dellavedova - tatanora.blogspot.com

Al via MASTER FOODIE Catania

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AI NASTRI DI PARTENZA LA TAPPA CATANESE DEL  I° “MASTER FOODIE 2014 - SICILIA”. AL MINA’, ALLA VECCHIA DOGANA, LA SFIDA TRA CINQUE FOOD BLOGGER

http://www.sceltedigusto.it/http://www.masterfoodie.it/

Si preannuncia glamour, ma soprattutto di qualità il secondo appuntamento, quello catanese di lunedì 12 maggio, di “Master Foodie 2014 - Sicilia”, cooking show rivolto ai food blogger siciliani, esperti in preparazioni culinarie di alto livello. Una manifestazione, la cui caratteristica, oltre quella di dare il giusto merito e risalto a questi speciali “internauti” amanti della buona cucina, è quello di toccare tutte le province siciliane, per parlare e proporre la cultura del cibo rigorosamente siciliano attraverso una formula collaudata e ricercata.
In ognuna delle location scelte per l’occasione, 5 food blogger, coadiuvate dai cuochi del ristorante, prepareranno ognuna il loro piatto (insieme realizzeranno un intero menù, dall’antipasto al dolce) per la giuria critica, composta da elementi scelti tra giornalisti enogastronomici, sommelier, critici del settore, così come per quella tecnica, della quale faranno parte chef, ristoratori e rappresentanti di specifiche associazioni di categoria. I loro voti, sommati a quelli della giuria popolare, composta da quanti acquisteranno il ticket per “partecipare alla serata, gustare e dare il proprio parere” (info www.masterfoodie.it, cell. 389.2158948), decreteranno il “Master Foodie” locale. Un’occasione importante, anche per quanti non fanno parte di questo mondo, per vivere un momento volto a promuovere e valorizzare la cucina siciliana.
Alla fine, saranno nove gli sfidanti che, tra coltelli, forchette e pentole, si dovranno scontrare in una battaglia “all’ultimo mestolo”, che proclamerà il primo “Master Foodie 2014 - Sicilia”. Un’occasione veramente importante, per promuovere e valorizzare la cucina siciliana e per portarla in alto attraverso i prodotti più genuini e qualificati della nostra terra.
La prima tappa, quella che si è svolta il 14 aprile, al Castello a Mare di Palermo, ha vissuto e fatto vivere una serata veramente “stellata”, raccogliendo ampi e documentati consensi non solo di pubblico ma anche da parte della stampa e degli addetti ai lavori. Vi hanno, infatti, preso parte chef come Peppe Giuffrè (presidente della giuria tecnica), Max Mangano e Natale Giunta (patron della struttura ospitante), che hanno certificato la riuscita dei piatti. Hanno partecipato realtà come la Chaine des Rôtisseurs, l’Amira, Slow Food, l’Accademia italiana della Cucina, l’Associazione Italiana Food Blogger, l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia: ognuna presente con i propri rappresentanti locali, a dimostrazione che si tratta di un percorso pensato e voluto per dare valore e risalto all’eccellenza gastronomica siciliana.
Anche Catania riconfermerà il parterre palermitano, accrescendolo di valore grazie alla presenza di rappresentanti etnei delle diverse organizzazioni coinvolte. Ma non solo. Il tutto si celebrerà, dicevamo all’inizio, il 12 maggio al Ristorante Minà, in via Dumet 2, all’interno della Vecchia Dogana.
Sempre presidenti delle giurie tecnica e critica, rispettivamente lo chef Peppe Giuffrè e la giornalista enogastronomica Alessandra Verzera, direttore della rivista online “Sceltedigusto.it”, che ha pensato e sta promuovendo la manifestazione. Sarà nuovamente presente, questa volta non come padrone di casa ma nella giuria tecnica, lo chef Natale Giunta, accanto al quale siederanno: Domenico Privitera, vicepresidente della Federazione Cuochi Etnei di Catania; Giuseppe Ignoto, Bailli del Bailliage Catania de “La Chaine des Rôtisseurs”; Vittorio Cardaci, delegato  Fisar Catania; Luciano Graziano, GMR Amira Catania.
Della giuria critica, che dovrà parimenti votare i piatti delle food blogger, faranno parte: Daniele Sgroi, Gambero Rosso; Concetto Mannisi, segretario dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia; Rosetta Cartella, Accademia Italiana della Cucina; il PR Fulvio Pastorella e, per dare un ulteriore tocco fashion all’evento, ma anche per parlare di eccellenze siciliane, la stilista Marella Ferrera. Condurrà la serata il giornalista Antonio Iacona.
Bisogna ribadire che la formula della manifestazione prevede la votazione dei piatti da parte delle due giurie qualificate, ma anche della giuria popolare. Un’occasione importante, anche per quanti non fanno parte di questo mondo, per vivere un momento volto a promuovere e valorizzare la cucina siciliana.
Alle 11.30 di martedì 6 maggio, nella stessa sede che ospiterà l’evento, ci sarà la conferenza stampa, alla quale prenderanno parte anche le food blogger, ma non solo, per svelare l’atteso menù e le tante sorprese in programma.
“Master Foodie” è pensato e organizzato dal giornale di enogastronomia “Sceltedigusto.it” in collaborazione con l’associazione culturale “Papille di Bacco”. L’evento catanese si svolge in sinergia con il Ristorante “Minà “ di Emanuele Coniglione e gode del patrocinio del Comune di Catania, dell’Associazione Italiana Food Blogger e della Fidapa.

Palermo, 01.05.14


Ufficio stampa “Master Foodie 2014”
Info e prenotazioni: www.masterfoodie.it; cell. 389.2158948

Sempre più vicino MASTER FOODIE SICILIA!

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SEMPRE PIU’ VICINO IL SECONDO APPUNTAMENTO CON “MASTER FOODIE SICILIA”, PRIMA EDIZIONE DI UN COOKING SHOW CHE A CATANIA SI CELEBRERA’ IL 12 MAGGIO AL RISTORANTE MINA’, DENTRO LA VECCHIA DOGANA

Mancano pochi giorni al 12 maggio, data che celebrerà la seconda tappa di “Master Foodie – Sicilia”, cooking show rivolto ai food bloggers siciliani, esperti in preparazioni culinarie di alto livello. La manifestazione avrà luogo nella splendida cornice del Ristorante Minà, interno alla Vecchia Dogana di Catania, struttura nella quale si è anche svolta la conferenza stampa, presenti tutti gli attori di questa avventura.
Come in ogni location scelta per l’occasione nelle 9 province siciliane, anche qui 5 food blogger, coadiuvati dai cuochi del ristorante, prepareranno il loro piatto (insieme realizzeranno un intero menù, dall’antipasto al dolce) per la giuria critica, composta da elementi scelti tra giornalisti enogastronomici, sommelier, critici del settore, così come per quella tecnica, della quale faranno parte chef, ristoratori e rappresentanti di specifiche associazioni di categoria. I loro voti, sommati a quelli della giuria popolare, composta da quanti acquisteranno il ticket per “partecipare alla serata, gustare e dare il proprio parere”, decreteranno il “Master Foodie - Catania”. Un’occasione importante, anche per quanti non fanno parte di questo mondo, per vivere un momento volto a promuovere e valorizzare la cucina siciliana.
Alla fine, saranno nove gli sfidanti che si scontreranno nel corso di una serata di Gran Galà, la cui sede sarà annunciata a breve, dove ogni food blogger dovrà riproporre il piatto che gli è valso il titolo, dimostrando di avere tutte le qualità e caratteristiche per portarsi a casa il titolo di primoMaster Foodie 2014 - Sicilia”.



Rispetto al parterre della serata, presidenti delle giurie tecnica e critica, saranno rispettivamente lo chef Peppe Giuffrè e la giornalista enogastronomica Alessandra Verzera, direttore della rivista online “Sceltedigusto.it”, che ha pensato e sta promuovendo la manifestazione. Sarà nuovamente presente, questa volta non come padrone di casa ma nella giuria tecnica, lo chef Natale Giunta, accanto al quale siederanno: lo chef Gigi Mangia; Domenico Privitera, vicepresidente della Federazione Cuochi Etnei di Catania; Giuseppe Ignoto, Bailli del Bailliage Catania de “La Chaine des Rôtisseurs”; Vittorio Cardaci, delegato Fisar Catania; Luciano Graziano, GMR Amira Catania.
Della giuria critica, che dovrà parimenti votare i piatti delle food bloggers, faranno parte: Daniele Sgroi, Gambero Rosso; Concetto Mannisi, segretario dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia; Rosetta Cartella, Accademia Italiana della Cucina; il PR Fulvio Pastorella e, per dare un ulteriore tocco fashion all’evento, ma anche per parlare di eccellenze siciliane, la stilista Marella Ferrera.

Alessandra Verzera e Marella Ferrera

Emozionate, dicevamo, a tratti in ansia. Così si apprestano ad affrontare la prova catanese della prima edizione di “Master Foodie Sicilia” le cinque food bloggers (Alessandra Adorno, Elena Benfante, Terry Caruana, Francesca Merlino e Pinella Scafile) che il 12 maggio spegneranno il computer, riporranno pentole e coltelli e si presenteranno al Ristorante MINA’, sottoponendo i loro piatti al vaglio delle giurie tecnica e critica della manifestazione, per attendere con ansia i voti dei giurati che, insieme a quelli della giuria popolare, dovranno decretare il “Master Foodie Catania”.
«Ci sono momenti in cui leggo gli articoli usciti sino a ora - spiega la Adorno, che proporrà degli arancinetti allo zafferano alla Brontese con pomodorini ripieni - e mi viene l’ansia. Poi, però, decido di non pensarci e mi convinco che andrà tutto bene. Perché lo so che andrà tutto bene. Non ho mai partecipato a un’iniziativa di così alto spessore, ma credo che ci voglia solamente sangue freddo. Anche perché è un’ottima occasione per promuovere il nostro territorio e la gastronomia locale. E poi, sarà bello incontrarci e “scontrarci” tra “colleghe”, che conosco quasi tutte perché da anni scrivo ricette tipiche. Ritengo che sarà una vera festa. Per smorzare la tensione, poi, m’impongo di pensare che dovrò cucinare e non parlare».
Dimenticano, o forse non sanno ancora, che, all’uscita dalla cucina dei rispettivi piatti, ogni food blogger avrà la possibilità di illustrare ai giurati la propria pietanza, spiegando gli ingredienti utilizzati e il miglior modo per gustarla.
«Questo è vero – aggiunge Elena Benfante, in gara con un burger di mare in salsa di mandorle di Avola e agrumi di Sicilia – ma sarò tranquilla perché, come ho detto a mio marito, per una volta non avrò i bambini attorno mentre preparo. Sarà, quindi, una situazione per me molto meno caotica. Io già volevo partecipare a Palermo, ma non ce l’ho fatta con i tempi, quindi non mi è sembrato vero quando mi hanno presa.  Non sono proprio alla prima esperienza pubblica perché ho partecipato alla presentazione di “Born in Sicily” con Natale Giunta e a qualche altro evento, ma più come rappresentante dei food bloggers che in prima persona ai fornelli».
E’ originaria di Malta, ma vive da anni a Catania dove si è trasferita per amore, Terry Caruana, alla quale la timidezza fa centellinare le parole. Come fossero ingredienti, con i quali impreziosire e rendere ancora più speciali i propri manicaretti. La giuria dovrà votare il suo cannolo scomposto con cialda glassata al cioccolato.
«Ho deciso di partecipare incoraggiata dagli amici. Loro dicono perché cucino bene e credono che sia in grado di affrontare una prova del genere. La verità è, però, che ho presentato la mia candidatura, con la certezza che non mi avrebbero presa. Come capita sempre, invece, mi hanno scelta e ora dovrò dare tutto il meglio di me stessa. Sono, però, pronta».
A riprovare l’esperienza è Francesca Merlino, tra le cinque food blogger che a Palermo hanno partecipato all’evento inaugurale di “Master Foodie Sicilia”, divertendosi un mondo. Ci riprova con una tagliata di tonno al patè di olive verdi e capperi.
«E’ vero, sono di nuovo qui sia perché a Palermo ho passato una serata veramente unica, sia perché Alessandra Adorno e Terry Caruana sono mie amiche e con loro condivido la passione per la cucina. Siamo, tra le altre cose anche socie in affari, nutrendo tutte e tre il sogno di aprire un ristorante. Quando loro si sono iscritte, ho voluto riprovare, anche se non pensavo che mi avrebbero nuovamente presa. Ovviamente, sono meno emozionata perché so cosa mi aspetta, ma un pizzico di panico c'è sempre. E’, infatti, una prova e non si sa mai cosa può accadere».
L’amore per la cucina, ma soprattutto per i prodotti della sua isola, spinge da sempre Pinella Scafile a ricercare il meglio di quello che offre, dal punto di vista enogastronomico, la nostra bella Sicilia. E i suoi cannelloni con ripieno di macco di fave, gamberi e pomodorino di Pachino candito vogliono esserne la dimostrazione molto concreta.
«Mi è sempre piaciuto provare prodotti di tutte le regioni ma, facendo un confronto con quanto propone la nostra terra, da tempo mi accorgo che troppo spesso rendiamo merito a ciò che viene da fuori. Credo sia giunto il momento di dimostrare tutto il nostro orgoglio per le eccellenze siciliane. Purtroppo da noi si organizzano contest, ma quasi sempre privatamente. Quando ho saputo di questo, mi sono fiondata immediatamente perché ho capito che era tutta un’altra cosa. Non posso nascondere di essere emozionata perché, come tutte le altre, sono abituata a sperimentare nella mia cucina, in un ambito molto più intimo. Sarà, però, una bellissima esperienza».
Cinque, dunque, le portate che, come successo alla commissione che li ha scelti, fanno da un po’ venire l’acquolina in bocca. E se l’emozione, è proprio il caso di dirlo, “si taglia con il coltello”, a tranquillizzarle giunge colei che ha pensato e sta rendendo “Master Foodie 2014 - Sicilia” una realtà.
«E’ bello vedere che Catania ha accolto con entusiasmo e grande partecipazione l'arrivo della nostra brigata - afferma la giornalista enogastronomica, Alessandra Verzera - dimostrandosi ancora una volta città allegra, che ama il divertimento e le novità. Grazie anche al mio vice, Giuliana Avila di Stefano, che è un'etnea doc nonché esperta di pubbliche relazioni, si è creata una rete di comunicazioni e un interesse davvero enorme intorno alla kermesse. La risposta che abbiamo ricevuto, sia dagli enti locali che dalle aziende, è stata quella delle grandi occasioni e la location prescelta, il Ristorante Minà alla Vecchia Dogana, è un luogo contemporaneo ed estremamente raffinato: la degna cornice per un evento, che diventa di tappa in tappa sempre più atteso e sempre più glamour e che culminerà, questo posso dirlo già da adesso, con un Gran Gala di finalissima che rimarrà impresso nella memoria di molti per molto tempo. Anche nel caso di Catania, come già successo a Palermo in casa di Natale Giunta, le concorrenti hanno già fatto " squadra", ben lungi dal definirsi rivali; e questa atmosfera gioiosa di grande eccitazione che vede nascere anche nuove amicizie e nuovi sodalizi, fa si che, al di la del concorso enogastronomico, vi sia la festa, un momento associativo di ottima qualità in cui, oltre a gustare buon cibo in un'atmosfera incantata, nascono spunti per il sano divertimento. Credo che sia questa caratteristica a rendere “Master Foodie” un po' speciale rispetto ad altri eventi, forse più "tecnici" ma sicuramente meno divertenti. Anche in questa tappa, schiereremo due giurie di altissimo livello, con nomi prestigiosissimi, sia nel campo dell'enogastronomia e dell'hotellerie che della vita intrinseca di Catania: un nome per tutti, quello della nota stilista di alta moda Marella Ferrera, che sarà membro della giuria critica da me presieduta. Ringrazio sin d'ora la città di Catania e i catanesi per l'accoglienza che ci riserveranno e per l'entusiasmo con cui si apprestano a ricevere e a incoronare il primo Master Foodie Catania».
Non ci sono, poi, dubbi che, alla fine di questa esperienza, le food bloggers ringrazieranno se stesse per avere deciso di partecipare a un evento caratterizzato per la qualità non solo professionale, ma soprattutto umana di tutti. Che, tra le altre cose, ha fatto decidere a molti di esserci, nonostante i tanti impegni della propria professione.
«Sono veramente felice di partecipare, innanzitutto perché adoro la cucina - commenta in conferenza stampa Marella Ferrera, le cui creazioni di moda sono la perfetta fusione di gusto, tradizione e innovazione -, così come del resto la amano tutti coloro i quali notano e apprezzano la bellezza. L’esperienza del gusto è per me imprescindibile, fa parte della mia personalità ma anche della mia professione, e condividere un percorso di eccellenza come quello proposto in una tale occasione è fondamentale. Tra le altre cose, ho già collaborato con chef che stimo molto, come Carmelo Chiaramonte, Pietro D’Agostino o Ciccio Sultano, per dimostrare che la moda e il cibo possono andare molto bene insieme. Un percorso sensoriale, che ci porterà all’Expo 2015 con immagini che propongono il concetto già più volte espresso, ossia “abiti da gustare, piatti da indossare”, avvicinando in tal modo ancora di più due mondi che hanno tanto in comune».
Il fatto, poi, di essere alla Vecchia Dogana, conferma la volontà di fare rete, diventando un tassello di un percorso che sta puntando alla riqualificazione di questo spazio, che potrebbe riprendere il volo grazie all’intervento di Oscar Farinetti, presidente di Eataly, il primo supermercato al mondo dedicato all'acquisto, alla degustazione e alla vendita di soli cibi di alta qualità, sbarcando anche a Catania.
«Come recita un nostro spot – annuncia Angelo Cutrone, presidente della Consorzio “Vecchia Dogana” – stiamo ripartendo da zero rifacendoci il look, cercando di riqualificare le attività che sono all’interno della nostra realtà. Un’iniziativa del genere rientra perfettamente in questa politica di crescita e di apertura, dando spazio e merito alla ristorazione d’eccellenza».
Concetto che trova pienamente d’accordo Elio Coniglione, il titolare del Ristorante MINA’, interno alla Vecchia Dogana, dove si svolgerà l’evento del 12 maggio.
«Questo è un posto magico, che può dare tanto non solo alla città di Catania. Il fatto di ospitare un’iniziativa come questa non fa che renderlo ancora più speciale, dimostrando che la qualità esiste dappertutto. Siamo onorati di ospitare “Master Foodie”, anche perché crediamo nelle sinergie e nelle enormi possibilità che possono giungere da ogni dove. Siamo pronti a “varare” questa seconda tappa di una manifestazione che può e deve arrivare lontano».
Ora sta alle concorrenti in gara predisporsi al meglio per divertirsi, ma anche per vincere, conquistando uno dei premi in palio, consegnati da Fulvio Pastorella, esperto di movida siciliana. Oltre a quello per la prima food blogger della serata, infatti, ce ne sarà uno speciale che Andrea Piovesan, l’editore di “Sceltedigusto.it”, assegnerà al miglior menu: praticamente quello che, quando si sono candidate, le food bloggers hanno mandato completo (dall’antipasto al dolce) per essere poi selezionate insieme a uno dei piatti proposti. Grazie alla partecipazione di numerosi sponsor, ci saranno numerosi sorteggi pure per il pubblico (ingressi in palestra o alla Spa, borse e accessori, utensili da cucina, prodotti enogastronomici locali, come anche un weekend in un B&B con piscina), che in tal modo non tornerà a casa a bocca asciutta. In tutti i sensi.
A rendere ancora più speciale la serata sarà la conduzione del giornalista Antonio Iacona, mentre a curare la direzione artistica sarà Ciccio Vitale, del Gold Cafè di Palermo. Curerà, infine, il montaggio e la post produzione Vincenzo Leone.
Molto ci sarebbe ancora da dire, ma parecchie cose avverranno proprio durante la serata del 12 maggio quando, una volta dato il via alle danze, qualunque cosa sarà possibile. Anche perché, così come accaduto nel capoluogo siciliano, la magia di un evento alla cui base sta l’amore per la buona cucina e per lo stare a tavola in buona compagnia può creare atmosfere inaspettate per chiunque, anche per un’organizzazione come questa che sta attenta al minimo particolare.
Resta, dunque, solo da ricordare che, per prenotare la partecipazione alla cena, conquistando in tal modo anche il diritto a fare parte della giuria popolare, bisogna scrivere all’indirizzo di posta elettronica reservation@masterfoodie.it oppure chiamare il cell. 389.2158948 per informazioni.

“Master Foodie” è pensato e organizzato dal giornale di enogastronomia “Sceltedigusto.it” in collaborazione con l’associazione culturale “Papille di Bacco”. L’evento catanese si svolge in sinergia con il Ristorante “Minà “ di Emanuele Coniglione e gode del patrocinio del Comune di Catania, dell’Associazione Italiana Food Bloggers e della Fidapa.


Palermo, 08.05.14

L'AIFB a Tipici dei Parchi, L'Aquila

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http://www.tipicideiparchi.it/


Si svolgerà a L’Aquila, dal 16 al 19 maggio 2014 presso l’ex Agriformula la seconda edizione del Salone dei prodotti tipici dei Parchi d’Italia, rassegna dedicata ai sapori tipici e tradizionali delle aree protette italiane. 
Saranno quattro giorni intensi, un programma culturale ricco e articolato per conoscere e parlare in modo concreto di temi legati ai prodotti della terra e al cibo, così come alla necessaria e continua valorizzazione delle aree protette italiane.  La formula della seconda edizione è quella della mostra-mercato con stand, degustazione, show cooking e commercializzazione dei prodotti, in una visione totalmente integrata tra territorio, economia rurale, sostenibilità e turismo. Sono previsti 12 show cooking con chef stellati, osterie dei Parchi e cuoche di famiglia, 10 degustazioni di vini a cura di AIS, 4 laboratori di gusto a cura di Slow Food Abruzzo e Molise, 50 degustazioni dei prodotti dei parchi,  un Concorso per premiare le eccellenze dei Parchi, 6 laboratori di produzione artigianale con dimostrazioni su come si producono salumi, formaggi e tutto ciò che di buono si produce nei parchi. I food blogger dell'AIFB avranno un programma studiato ad hoc per loro: saranno protagonisti di uno show cooking  e coinvolti nei lavori del Convegno Comunicazione 2.0 con Carlo Cambi.
Tipici dei Parchi ospiterà una tappa del tour dell’Associazione Streetfood che sarà presente per rappresentare il cibo di strada genuino di varie regioni italiane.  
In programmazione c’è anche il Workshop Fotografico Nikon for Parks, nato dalla collaborazione fra il Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga e Nikon school.

LA CUCINA DELLE FESTE- IL BANCHETTO DI NOZZE

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Sia che lo si intenda nel suo aspetto sociale, sia che lo si consideri in quello religioso, il matrimonio rappresenta un rito di passaggio che, in quanto tale, crea nuovi rapporti che hanno bisogno di essere consolidati: e quale miglior strumento che radunare gli invitati attorno ad un banchetto, celebrando, attraverso un atto di intimità quale è quello del mangiare assieme, la nascita di nuove relazioni?




Nel mondo occidentale, i primi banchetti nuziali documentati sono quelli del mondo greco, presenti già in epoca omerica, accompagnati sempre da musica e da danze; ma è dall'ultimo periodo della Roma repubblicana in poi che queste feste divennero anche strumento per esibire il potere e la ricchezza di chi si univa in matrimonio, finendo per oltrepassare la dimensione privata e trasformandosi invece in vere e proprie ostentazioni del lusso: per il matrimonio di Lorenzo de' Medici con Clarice Orsini, tenutosi il 4 giugno 1469, ben 5 furono i banchetti che si allestirono nei tre giorni di festeggiamenti e per i quali si consumarono, fra l'altro, 150 vitelli e 4000 capponi e 17 quintali di dolciumi e confetti.

Ancora più scenografico fu il banchetto per le nozze di Maria de' Medici e il re di Francia Enrico IV,  tenutosi sempre a Firenze, a Palazzo Vecchio, il 5 ottobre 1600. In quella occasione, dalla bottega del Giambologna uscirono mirabolanti sculture di zucchero (che siano state queste, le antesignane del cake design?) e l'organizzazione del servizio venne affidata al Buontalenti, deciso come non mai a stupire i convitati con effetti speciali: al momento della frutta, scesero. Dopo la frutta calarono dal soffitto nubi rigonfie con Giunone e Minerva che, una volta dileguatesi, lasciarono posto a nuove tavole, di specchi e cristalli,  che a loro volta si trasformarono in boschetti con viali, siepi e fontane. Fra gli ospiti, un ammirato Michelangelo Buonarroti, che non cessò un istante di prendere appunti, colpito dalla magnificenza degli allestimenti e delle trovate scenografiche. Illustre assente, lo sposo: da gran dongiovanni qual era, Enrico non nascose infatti il suo disappunto per quel matrimonio e decise di disertare la festa, preferendo alle nobili e paffute grazie della sua promessa distrazioni meno blasonate ma evidentemente più piacevoli di quanto Maria e la sua famiglia avesse da offrirgli, banchetto di nozze compreso.

LA CUCINA DELLE FESTE: la tradizione dei dolci per il matrimonio in Sardegna

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Comment’est durche su mele, siat durche s’amore.
Il senso è intuitivo: come è dolce il miele, così sia dolce l’amore. Lo si augura agli sposi nei paesi del nuorese, ma è chiaro che è un auspicio che va bene un po’ a tutte le latitudini.

Il matrimonio - inteso come unione materiale e spirituale di due persone - è da sempre, ancor prima che nelle nostre terre la cultura cattolica fosse dominante, un momento importante nella vita degli individui; insieme alla nascita dei figli, ai lutti e alle feste della propria comunità.



Ognuno di questi momenti importanti è scandito dal cibo, spesso da un cibo molto speciale, uno che non ci si sognerebbe mai di consumare in un “giorno qualunque”. I dolci sono questo cibo per eccellenza: insieme di ingredienti preziosi, frutto di lavoro e di impegno. E dal profondo significato sociale: li prepara la “comunità”, che accoglie una nuova famiglia o un nuovo nato, oppure saluta per sempre un proprio membro.

Nel caso dei dolci matrimoniali è spesso la suocera che dona il dolce alla sposa (come a Oliena, dove si chiama proprio turta ‘e sa socra); le consuocere lo preparano insieme alle madrine, oppure lo sposo lo commissiona a una “maestra” (una donna esperta, il più delle volte una vera e propria artista) che ha una bottega specializzata nella realizzazione di dolci monumentali. Sempre donne, comunque: i dolci per le nascite e per i matrimoni non sono mai competenza degli uomini.

E non va dimenticato che questi dolci hanno sempre un valore altamente simbolico. Per esempio sono bianchi, con evidente rimando alla purezza della sposa; sono di forme codificate per evocare abbondanza e prosperità del matrimonio: le decorazioni sono grappoli d’uva, fiori, colombelle, cuori, culle per bambini… Infine, sebbene preparati in anticipo, non si devono assolutamente rompere o rovinare! La loro integrità è, figuratamente, quella della sposa.

Partiamo con una carrellata di dolci tipici del pranzo nuziale, dai meno elaborati fino ai druccis finis (dolci fini, ovvero particolarmente impegnativi nella realizzazione e scenografici).

Gli amaretti, per esempio, fatti di zucchero e miele, mandorle dolci e amare e bianco d’uovo, sono tra i dolci più semplici e più buoni, che non mancano mai di essere offerti agli invitati e nemmeno a coloro che, semplicemente, si trovano a passare davanti alle case degli sposi. Sono diffusi in ogni luogo dell’isola.

Altri dolci semplicissimi, che non mancano mai ai matrimoni, sono le meringhe, dette anche bianchini. Bianchissime – appunto - e quasi impalpabili, possono anche essere decorate con ghirigori floreali di glassa reale e con confettini d’argento.

Nell’oristanese e nella zona del Montiferru in particolare, per i matrimoni si preparano le capigliettas: un bianchissimo guscio di pasta violata (semola, acqua e strutto lavorati molto a lungo) modellato a forma di rombo o di cuore ripieno di mandorle, molte uova, liquore e scorza di limone. Ogni dolcetto, dopo essere uscito dal forno, viene leggermente glassato e poi decorato con la glassa reale sprizzata da un piccolo cono di carta, con forme tipo spighe di grano, fiori, grappoli d’uva, forme geometriche, spirali. A volte si usa un colorante rosa, a volte si decora ulteriormente con confetti o sfogliette dorate.

La tradizione della città di Nuoro vuole che i dolci per la sposa siano sos coros (letteralmente “i cuori”, ma, in realtà, sono anche gallinelle, pesci, colombelle… e persino porcospini). Anche qui la base è una sfoglia di pasta violata finissima ritagliata nella forma voluta, sulla quale si depone una farcia fatta di mandorle, miele e scorza d’arancia. La parte superiore (della stessa forma della base) ha una grande finestra dalla quale si vede il ripieno.
La decorazione è fatta tutta intorno al ripieno, che, a sua volta, viene coperto con confettini colorati. Si tratta di dolci di circa 35 centimetri di diametro, che pesano anche 800 grammi e che, un tempo, la suocera regalava in numero fisso di nove alla futura nuora. Almeno uno dei nove dolci doveva avere la forma dei doni preziosi che lo sposo avrebbe fatto alla sposa: un rosario, un anello, dei bottones (gioielli di filigrana complemento del costume tradizionale).
Esiste anche una versione mignon dei coros, detti durchicheddos. Venivano regalati ai parenti e agli amici al momento dell’invito al matrimonio.

Nella zona del Marghine, in particolare a Bortigali, si usava (e si usa) un dolce molto semplice per le nozze, che evoca tutta la bellezza della vita agropastorale: la frissura de latte (latte fritto). Il latte fresco va mescolato a un po’ di semola e un po’ di zucchero e, volendo, a un po’ di scorza di agrumi grattugiata e poi fatto asciugare in padella. La massa va divisa poi in piccole porzioni che vanno immerse nell’uovo sbattuto e fritte in olio d’oliva. Infine i dolcetti vanno passati nello zucchero.

I garminos (o germinos, o gesminus) sono dolci tipici di Atzara e Neoneli (Nuoro). Semplici mandorle (scelte tra quelle più grosse e bianche) ridotte e scaglie e immerse in un denso sciroppo di zucchero, scorza di limone e acqua di fiori d’arancio, che vanno disposte su un piano a forma di piccola piramide e poi lasciate asciugare. Infine si completa la decorazione (in tempi moderni e potendoselo permettere) con piccoli frammenti di sfoglia d’oro.



Altri dolci di pasta violata sono i pastissus di Quartu Sant’Elena (Cagliari). Il guscio viene riempito di pasta di mandorle lavorata con le uova e con uno sciroppo di zucchero e acqua di fiori d’arancio. I dolcetti si cuociono in appositi stampi (mollus) che hanno diverse forme e dimensioni (ma anche qui vanno per la maggiore i cuori e i rombi); vengono quindi decorati con quella che si chiama pasta in cortza.
La pasta in cortza è una glassa particolare che si ottiene mettendo a bagno della gomma adragante in acqua di fiori d’arancio, unendo poi zucchero a velo per ottenere una pasta candida e dal profumo quasi stordente. Con questa si riempiono dei piccoli coni di carta che vengono usati come pennelli per decorare i dolci con fiori, colombe, merletti… Un tempo al ripieno veniva unita anche scorza di cedro candita, ma oggi non si usa più.

Altri dolcetti matrimoniali davvero stupefacenti (per la loro minuscola e accuratissima bellezza) sono i candelaus, sempre tipici di Quartu Sant’Elena. Esponenti a buon diritto della categoria dei druccis finis (dolci fini), sono vere e proprie opere d’arte di pasta di mandorle e si dividono in candelaus prenus e candelaus sbuidus.
I primi sono delle “scodelline” di pasta di mandorle piene di mandorle candite aromatizzate con acqua di fiori d’arancio, chiuse da un coperchio di glassa bianchissima e decorata con glassa reale e pasta in cortza. I secondi sono invece semplice (si fa per dire) pasta di mandorle modellata in un infinità di forme e poi glassata. La loro realizzazione richiede un’abilità straordinaria; anche perché i candelaus sono cosette grandi più o meno tre centimetri del peso di non più di venti grammi. Entrambi i tipi sono spesso decorati anche con finissime strisce e piccoli particolari di foglia d’oro.

Un altro paragrafo deve essere per forza dedicato ai mustazzoleddus, altri “dolci fini” di Quartu Sant’Elena che, in forma – generalmente - di rombo, sono decorati con elementi tridimensionali di glassa reale e pasta di zucchero e poi confezionati uno a uno in carta dai colori pastello.
Simili, ma non uguali, sono i mustazzoleddus de mendula di Paulilatino (Oristano). Questi ultimi sono di pasta di mandorle tagliata a rombo a mano libera- o modellata a cuore grazie a uno stampo - e poi ricoperta di glassa bianchissima di zucchero e confettini d’argento. Questi dolci non si fanno mai in casa, ma se ne affida la realizzazione, con anticipo sulla data del banchetto di nozze, alle mastras druccaias, spesso persone molto anziane dotate di grandissima esperienza, abilità e buon gusto, oltre che profonda conoscenza delle tradizioni.

I pistoccheddus prenus, tipici del Campidano di Cagliari, costituiscono una curiosa variante sia dei dolci con la pasta violata, sia di quelli di pasta di mandorle. La differenza sta nelle uova. Il guscio di pasta si realizza infatti con semola, acqua e strutto, ma poi si aggiungono molte uova e un po’ di zucchero e, spesso, anche scorza d’agrume grattugiata. La sfoglia deve essere tirata in sottilissimi nastri sui quali viene deposto un ripieno di mandorle ridotte in pasta, zucchero e acqua di fiori d’arancio.
I pistoccheddus sono grandi più o meno 10 centimetri, ma pesano anche 50 grammi l’uno e hanno la forma di cuori e anelli intrecciati, glassati dopo la cottura con glassa reale e poi decorati con colombelle, rose, confettini e anche sfoglia d’oro.

Fotografia di Sardegna Digital Library

Sempre la pasta violata è la base di altri dolci bellissimi che stupiscono per la finezza e la delicatezza: i caschettes di Belvì (Nuoro). La pasta va tirata in sfoglie sottili comente su papperi ‘e seda (come la carta velina) e strette, sulle quali vengono posati lunghi bastoncini di ripieno fatto con nocciole, miele e acqua di fiori d’arancio. La pasta poi si piega in due e, lasciando il ripieno in basso, si avvolge e chiude in lunghe volute. La decorazione è fatta con confettini colorati. La tradizione vuole che questi dolci li faccia, in casa sua, la suocera (con l’aiuto di comari e vicine) e poi lo sposo li regali alla fidanzata la mattina stessa delle nozze. L’impressione alla vista è quella di un velo ricamato; la sensazione in bocca è di stare mangiando aria profumata.

Assolutamente fuori dal coro è un dolce che era in uso fino agli anni ’50, ma del quale si è persa quasi completamente la tradizione. Era tipico della zona del Barigadu e di Ardauli (Oristano) in particolare e si tratta di su tumballa de arrosu (dolce di riso). Il riso – ricordo che Oristano è la provincia nella quale ancor oggi si coltiva tutto il riso sardo – veniva cotto a lungo nel latte dolcificato con zucchero o miele e poi cotto nuovamente ben pressato in uno stampo alto con il buco centrale (sa tumballa, appunto). Si aggiungevano poi gli aromi a disposizione. Questo dolce, però, non veniva fatto dalla famiglia della sposa o dello sposo, ma offerto dai vicini e dagli amici che partecipavano al pranzo delle nozze.

Per finire questa lunga carrellata (che, purtroppo, è necessariamente incompleta vista l’enormità delle varianti e l’ampiezza del ventaglio delle varie tradizioni locali) parlerò dei veri “dolci monumentali”: quelli di croccante di mandorle, i quali, ovviamente, hanno a loro volta diverse varianti.
Il cattò, o gattò, o gattou… è “il dolce”, la torta grande, distinta dai piccoli dolci e dai biscotti, e si prepara con mandorle più o meno sminuzzate, acqua pura, zucchero - oppure zucchero e miele - scorza di agrumi, o acqua di fiori d’arancio.


Partirò con quello di Bono (Sassari). Qui abitano delle donne fantastiche, chiamate sas maistras de su cattò, che sono le depositarie della tecnica e dell’abilità per costruire modellini di case intere (con abbondanti particolari) solo con il croccante di mandorle: ovvero mandorle, acqua e zucchero. Semplicemente sbalorditive sono queste costruzioni a più piani, che venivano un tempo preparate rigorosamente per ordine della suocera, che le donava alla nuora.
La tradizione, oggi quasi completamente persa, voleva che, nel momento in cui il dolce veniva portato in trionfo al tavolo degli sposi, un poeta improvvisatore si alzasse e cominciasse a declamare una poesia nella quale si lodava sia l’abilità della maistra, sia le doti degli sposi.

Dello stesso tipo è anche il dolce per i matrimoni tradizionali che si prepara a Carloforte, sull’isola di San Pietro (isola nell’isola, enclave tabarchina). Anche qui si tratta di un enorme croccante alto due metri, che rappresenta una casa, nel quale sono incastonati confetti, cioccolatini, caramelle e bandierine. Occorrono, inutile dirlo, diversi giorni di lavorazione, ma qui la preparazione è quasi sempre casalinga.

Per concludere occorre tornare a Quartu Sant’Elena. Qui, per la festa solenne di San Giovanni Battista, è uso vivo costruire un enorme (si parla di almeno un paio di metri cubi) gattò di croccante. I vari pezzi vengono lavorati e messi in forma dentro degli stampi (mollixeddus), quindi assemblati a formare un… palazzo (un intero isolato di palazzi!) e spennellati di sciroppo di zucchero. L’intera costruzione viene poi glassata in bianco e ulteriormente decorata con infinite piccole opere d’arte a forma di fiore, colomba, foglia, frutto, merletto fatte con glassa reale e pasta di zucchero. Il risultato è sbalorditivo. È ovvio che, per realizzare una simile opera, occorra il lavoro di più giorni e di più drucceras, o maistas drucceras.
Questo tipo di dolce, che nasce come “dolce devozionale”, ovvero dedicato dalla comunità intera a un santo, viene anche commissionato per i matrimoni che siano celebrati in modo molto tradizionale e senza badare a spese. Una piccola nota, per concludere: le parole utilizzate per indicare le decorazioni di questo tipo di dolce sono le stesse che si usano per i ricami di seta degli abiti e degli scialli del costume della festa. Le mani devono avere la stessa abilità, gli occhi la stessa prontezza, i cuori lo stesso desiderio di creare bellezza nel solco della tradizione.

Evento ISPO a Milano: AIFB, avanti tutta!

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Lungi dall'essere un fenomeno nella fase discendente, la versione internettiana delle casalinghe disperate o una categoria indefinita, che eccelle nel cantarsela e suonarsela da sola, i food blogger esistono, godono pure di buona salute e anzi sono i nuovi e autorevoli referenti nel dialogo con le aziende e i produttori, in virtù delle loro competenze e, soprattutto, della loro capacità di influenzare le scelte del popolo dei consumatori, che guarda a loro con sempre maggiore rispetto e fiducia. 
Questo è il sunto dell'analisi del sondaggio somministrato dall'ISPO a un campione di food blogger dell'AIFB e commentato lo scorso giovedì 15 maggio a Milano, nella sede dell'istituto, da Renato e Ludovico Mannheimer e da Camilla Baresani, alla presenza di un affollato gruppo di rappresentanti dei marchi più importanti, sia nel campo della grande distribuzione che delle aziende, con i food blogger al posto d'onore, chiamate a rispondere a domande pertinenti e sensate, in un dialogo finalmente costruttivo e propositivo.
Dopodiché NON ci siamo svegliati.





O meglio: qualche pizzicotto ce lo saremmo anche dato, da tanto eravamo increduli e sorpresi; non dei risultati, sia chiaro, ma della rapidità con cui la loro valenza è stata recepita dagli addetti ai lavori: dalla nascita dell'AIFB al momento del riconoscimento ufficiale di quelle convinzioni che ci hanno spinto a costituirci in Associazione sono passati pochi mesi e poter constatare che il nostro messaggio è stato recepito e, per così dire, sancito da interlocutori così competenti e autorevoli non può che confortarci sul fatto di essere sulla strada giusta.


Ovvio che questo non sia un punto di arrivo: l'Associazione è solo all'inizio e, più in generale, il percorso dei food blogger tutti è nel mezzo del cammin di una strada ben fotografata dal titolo del sondaggio, "Fra Passione e Professione", giusto a metà del guado. 
Ma la direzione è quella che abbiamo intrapreso, come possiamo constatare ogni giorno dalle numerose proposte di collaborazione che riceviamo dal'esterno, e dalla sempre più consapevole partecipazione dei soci dall'interno: sentirselo dire, in questo modo e da questi addetti ai lavori, è il miglior sprone per poterci dire "Avanti così! Avanti tutta!".


Il miele: quarta lezione - MIELE ARTIGIANALE E MIELE INDUSTRIALE

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Miele artigianale e miele industriale
“L'agricoltura è l'arte di sapere aspettare”
. (Riccardo Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo, 1927)

Non c’è niente di più vero: la natura ha i suoi tempi. E le sue regole, senza le quali il delicato equilibrio tra ambiente ed esseri viventi non potrebbe esistere. Seminare i piselli, raccogliere dei fiori o allevare le api sono bellissime azioni, ma richiedono rispetto e pazienza. Purtroppo molto spesso l’uomo cerca di ottenere dalla natura più di quanto potrebbe. E il peggio è che ci riesce. Ma con che conseguenze?

Foto da Google Images


Questa piccola riflessione si può applicare anche al miele. La differenza tra miele artigianale e industriale sta tutta qui. Nel primo caso l’apicoltore alleva le api e le spinge a produrre più di quanto farebbero per soddisfare i propri bisogni, ma con un occhio di riguardo: non le nutre forzatamente con candito (alimento a base di saccarosio), limita al minimo i trattamenti chimici nell’alveare (se biologico non tratta affatto), lascia sufficienti scorte di miele per l’inverno per non affamarle, posiziona le api in luoghi con diverse fioriture perché possano variare la loro alimentazione. L’industria del miele, invece, è focalizzata soprattutto sulla quantità, spesso a discapito della qualità: la salute e il benessere dell’ape non sono in cima alla wish list. I produttori industriali sono in genere anche commercianti, e spesso “tagliano” miele italiano con altro proveniente dall’estero – in particolare Cina, Argentina, e in Europa Ungheria, Ucraina – dove non sempre gli standard di produzione sono elevati come nel nostro Paese. La differenza si vede anche in termini economici. Il prezzo del miele d’acacia prodotto artigianalmente nel 2014 si aggira tra 8,50 – 10 € al chilo. All’ingrosso il costo si dimezza nel caso di miele italiano, fino ad arrivare ai 2 – 3 euro al chilo del miele d’importazione dei paesi asiatici (Cina, India).

Miele biologico: ci credo o non ci credo?

La produzione di miele biologico è disciplinata da un apposito regolamento europeo, n. 834/2007 del 28 giugno 2007, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli. I principi ispiratori di questa norma e delle singole leggi presenti nei vari stati dell’UE sono la tutela e il rispetto dell’ambiente, l’attenzione all’equilibrio tra uomo, terreno e animali, la garanzia per il consumatore della provenienza e della qualità degli alimenti. Da questo strumento legislativo si ricavano alcune regole precise:

- Organismi di controllo. Sono organizzazioni private approvate dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Effettuano periodiche ispezioni nelle aziende, nei locali di lavorazione, di confezionamento ed etichettatura. Prelevano e analizzano campioni del prodotto per verificare l’eventuale presenza di pesticidi non ammessi in agricoltura biologica. Controllano l’idoneità degli apiari, le postazioni dove si trovano le api.

- Apiari: nel raggio di tre chilometri, il massimo raggio d’azione delle api, le fonti di bottinamento devono essere costituite da coltivazioni con metodo biologico oppure da flora spontanea.

- Allevamento: questo è l’aspetto cruciale dell’apicoltura biologica, perché tutta la cera dei favi del nido deve essere biologica certificata, per evitare la contaminazione con residui di acaricidi (sono i trattamenti chimici contro la varroa, l’acaro che annienta la covata d’api e lentamente distrugge la famiglia).

- Trattamenti: per contenere l’infestazione da varroa destructor possono essere utilizzati acido ossalico, formico, lattico e sostanze naturali quali timolo, eucaliptolo e canfora. Sono proibiti farmaci e antibiotici per trattare la famiglia aggredita dall’acaro.

- Tracciabilità: il miele deve essere rintracciabile lungo l’intera catena produttiva, a partire dalla posizione dell’apiario e fino al prodotto confezionato. In etichetta devono essere indicati i dati per “seguire” il miele fino all’alveare dove è stato raccolto (codice di lotto).

Foto da Google Images


Le api muoiono in tutto il mondo

Grazie all’interessamento dei media, finalmente il grave problema della moria d’apiè giunto all’attenzione del pubblico ma soprattutto del mondo politico. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha recentemente costituito una task force speciale per salvare api e insetti impollinatori: nella primavera 2014, nella sola California, è morto il 25% delle famiglie che impollinavano i mandorleti dello Stato, con una perdita di circa 17 milioni di api in oltre 400mila alveari. In Europa le cose non vanno meglio e in Italia ormai la situazione è critica. Quest’anno si sono verificati spopolamenti e morie in tutto lo stivale, in alcune regioni anche nel 100% degli alveari. La domanda è una sola: cosa sta succedendo alle api?

1. Cambiamenti climatici. È una realtà, il clima sta cambiando. Temperature e fenomeni atmosferici hanno subito sbalzi significativi negli ultimi anni, sconvolgendo non solo le nostre abitudini ma anche quelle delle api. Fioriture come l’acacia, che di solito cominciano durante i primi giorni di maggio, sono state anticipate dal gran caldo di aprile, per poi stopparsi con l’improvviso freddo dei primi giorni del mese successivo. La diretta conseguenza è che le acacie hanno prodotto poco nettare, da cui le api hanno ottenuto scarse quantità di miele.

2. Avvelenamenti. Le associazioni e i consorzi di apicoltori italiani sono in allarme per le segnalazioni di morie d’api sempre più frequenti in concomitanza con alcune attività agricole, come la semina del mais, il trattamento di frutteti e viti, cereali e ornamentali. Gli allarmi hanno riguardato l’intero Paese, con diversi gradi di intensità. Le analisi sulle campionature dei pollini presenti negli alveari tra marzo e aprile hanno rilevato la presenza di pesticidi altamente nocivi per le api, chiamati neonicotinoidi (agrofarmaci a base di nicotina molto efficaci contro diversi parassiti).

3. Colony collapse disorder, sindrome da spopolamento degli alveari. È un’"etichetta" generica per indicare l’improvvisa sparizione di buona parte o tutta la colonia d’api, senza apparente motivo, che preoccupa gli apicoltori da oltre 15 anni. Non è stata individuata un’unica causa che spieghi il perché degli spopolamenti, ma un insieme di fattori, tra cui l’uso massivo di pesticidi destinati all’agricoltura, la scarsa alimentazione delle api per via di fioriture più contenute, virosi e aggressioni di agenti patogeni negli apiari.

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Il problema della moria delle api è ormai un’emergenza nazionale. Riguarda sicuramente la produzione di miele italiano, che quest’anno ha registrato i minimi storici per alcune tipologie, come l’acacia e gli agrumi, con i relativi danni economici per i 40mila apicoltori italiani. Ma oltre che una questione di “vil danaro” si tratta di un problema di sopravvivenza per il genere umano. Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), delle 100specie di colture che forniscono il 90 % di prodotti alimentari in tutto il mondo, 71 sono impollinate dalle api. La maggior parte delle colture nell’Unione europea dipende dall’impollinazione degli insetti, garanti della conservazione della biodiversità.

Alcuni video sulla moria delle api: Prof. Girolami, TGLa7

Fonti:
www.mieliditalia.it
http://www.efsa.europa.eu/it/topics/topic/beehealth.htm
www.informamiele.it
“Conoscere il miele”, a cura di Anna Gloria Sabatini, Laura Bortolotti, Gian Luigi Marcazzan, Edizioni Avenue Media, Bologna – Milano, 2007.

Donne del vino del Piemonte e AIFB

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Di vigna in vignetta - Primavera di donne, humour e vino
AGGIORNAMENTO: adesioni TERMINATE!

http://www.divignainvignetta.it/


Dal 10 maggio al 29 giugno le Donne del vino del Piemonte festeggiano i 25 anni e ricordano il giornalista Vincenzo Buonassisi con una mostra di vignette sul vino, incontri e personaggi illustri, brindisi e tanto altro. 
Infatti ogni fine settimana di questo lungo evento sarà caratterizzato da aperitivi, banchi d’assaggio, brindisi, viaggi sensoriali tra le etichette delle Donne del Vino, confessioni laiche tra diverse generazioni di produttrici ed eventi, dove non mancherà la possibilità di andare alla riscoperta delle antiche ricette, guidate dalle storiche cuciniere del Piemonte.
E’ proprio in questo contesto festoso e commemorativo, che le Donne del Vino del Piemonte, 108 socie vignaiole, ristoratrici, enotecarie, sommelier e giornaliste, OFFRONO A  3 BLOGGER DONNE associate AIFB la possibilità di prendere parte ad un appuntamento assolutamente speciale ed imperdibile.

SABATO 21 GIUGNO: "BLOGGER IN CUCINA" a Costigliole d'Asti (AT)

Una giornata dedicata alle food blogger, che potranno così “tornare sui banchi di scuola” per ascoltare i segreti delle storiche cuciniere del Piemonte. Le lezioni saranno ospitate nella cucina dell’Icif.

E' PREVISTA OSPITALITA' CON PERNOTTAMENTO, per chi arrivasse da lontano e ne avesse necessità.

Per partecipare basterà inviare una email a partecipo@aifb.it
entro e non oltre il 28 maggio p.v.: farà fede l’ordine di arrivo.

La manifestazione ha il patrocinio di Regione Piemonte, Parco Culturale Piemonte Paesaggio Umano e Camera di commercio di Asti. In collaborazione con Cantina dei vini di Costigliole d’Asti, Associazione Costigliole Cultura e Astigiani.

"Tipici dei Parchi" visto dai food blogger

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Prima di iniziare a parlare dell’evento, è bene sottolineare il contesto e il perché si è scelto di parlare di Parchi, che in Italia sono ben ventiquattro (solo quelli nazionali) e coprono oltre un milione e mezzo di ettari, pari al 5% circa del territorio nazionale.

I parchi nazionali completano l'opera iniziata dai parchi regionali che si occupano di territori molto vasti coinvolgendo un discreto numero di comuni; la regione Abruzzo è certamente un’eccezione nel panorama italiano: infatti al suo interno conta ben tre parchi nazionali. Il Parco nazionale d'Abruzzo, il più antico d’Italia, nasce nel 1921 seguito dal Parco del Gran Paradiso; Majella e Gran Sasso - Monti della Laga vengono dichiarati parchi nazionali nel 1991; c'è inoltre il Parco regionale del Sirente Velino. Tutti e quattro coinvolgono per lo più L’Aquila e la sua provincia, motivo principale per il quale, per il secondo anno consecutivo, l’evento “Tipici dei Parchi” si è svolto in questa città ferita dal sisma dell’aprile del 2009, anche per dare un segnale forte di rinascita a cinque anni dal terremoto.

Ma torniamo a noi. Sui parchi e la loro funzione potremmo scrivere pagine e pagine, ma oggi queste “oasi” ci interessano dal punto di vista della gastronomia, ovvero per tutto quello che viene prodotto all'interno di essi e delle aree protette.
Con “Tipici dei Parchi” gli organizzatori hanno voluto creare una mostra-mercato dedicata alle produzioni enogastronomiche delle aree protette italiane, regalando ai blogger presenti un interessante fine settimana all'insegna del buon cibo.

Quattro giorni intensi, un programma ricco di impegni, convegni, dibattiti, tour nella provincia e showcooking di chef stellati, casalinghe e food blogger locali, degustazioni e una grande mostra mercato di prodotti del territorio. Uno spazio dedicato anche ai concorsi, con lo scopo di mettere in rilievo e, quindi, premiare le eccellenze del territorio abruzzese all’interno delle aree protette; in più, affascinanti dimostrazioni su come si producono formaggi e salumi.

Interessante, anche se poco contestualizzata, la presenza dell'Associazione Streetfood. Più azzeccato, invece, è il progetto Parco d’Arte d’Abruzzo ideato dall’Associazione Culturale Grand Hotel, che ha voluto dare il suo contributo grazie a delle opere d’arte realizzate da artisti internazionali in versione green alla città de L’Aquila, tra cui spicca Atomic Flowers di Nicola Bolla che vuole rappresentare la rinascita dopo la distruzione.



Gli appuntamenti a cui noi dell’AIFB abbiamo partecipato di più, anche dietro esplicito invito del noto giornalista gastronomico Carlo Cambi, sono stati gli showcooking racchiusi in un’unica rassegna che Cambi ha titolato “Dai Parchi alla Tavola”.


 
Appropriato e diretto il concetto espresso da Carlo: prodotti unici, tipici del territorio da gustare in tavola e da introdurre come ingrediente principe nelle ricette, sia in quelle tradizional-regionali, che nelle eleganti rivisitazioni degli chef stellati. La presenza di Carlo Cambi è stata la cosa più azzeccata che l'organizzazione del Salone potesse fare. Un vero mattatore, instancabile e carismatico ha dato tutto se stesso trasmettendo una cultura gastronomica straordinaria, rendendo ciò amorevolmente comprensibile a chiunque lo ascoltasse. Il suo slogan è:

"Non esiste buona cucina senza una buona agricoltura, e non si può fare buona agricoltura se non esiste qualità ambientale".

Dispensatore di sana educazione alimentare verso un consumo consapevole, Carlo ha fatto da "spalla" agli chef che si sono destreggiati nell'area showcooking, area che ahimé ha dato non poco filo da torcere sia agli addetti ai lavori che a noi uditori.
Forse l'organizzazione vi avrebbe potuto dare maggiore risalto, magari posizionandola diversamente, lontano dal gelido ingresso, e fornendo uno spazio cucina attrezzato a dovere, sia per rispetto degli chef, che con il loro lavoro cercano di valorizzare un'idea riconducibile alle caratteristiche di un territorio e sia per i produttori, che in prima persona forniscono le materie prime per i piatti.
Malgrado ciò abbiamo avuto il piacere di vedere all'azione alcuni tra i nomi più prestigiosi del panorama culinario italiano: Peppino Tinari del “Ristorante Villa Maiella”, situato all'interno del Parco Nazionale della Maiella che propone una cucina basata sulle materie prime del territorio con ingredienti rigorosamente di stagione. La sua proposta: baccalà con cottura a bassa temperatura su purea di fave e asparagi selvatici. Michele Biagiola, giovane chef dell'“Enoteca Le Case” di Macerata, è stato proposto da Cambi per la sua spiccata sensibilità e il suo modo innovativo di interpretare la cucina vegetariana. La sua proposta, infatti, risulta essere un vero e proprio quadro della natura: Acqua cotta all'acqua di rose… del suo giardino! Uno spettacolo di equilibri. Enzo D'Andreamatteo, chef della “Locanda Manthonè” di Pescara, che ci ha deliziati con la lavorazione di prodotti tipici come come i cacigni di campagna, i fagioli bianchi tondini e la ricotta, ma ci ha conquistati con  la sua panna cotta, liquirizia e cannella, perfetta nel sapore e nella consistenza. Sandro Serva, chef del ristorante “La Trota” di Rivodutri (Rieti) è  un pioniere: è riuscito a trasformare il bistrattato pesce di lago in piatti a tre stelle. Un gioco di equilibri e consistenze, colori e sapori da rendere una carpa un tripudio di sensi; Carpa in crosta di papavero, maionese alle rape rosse, crescione di montagna: questa la sua proposta. Avremmo vovuto avere il dono dell'ubiquità per poter vedere tutto!




Ma la degustazione che più ci ha appassionato e divertito è stato lo showcooking della nostra socia e amica Laura Gioia, aquilana e abruzzese doc, socia AIFB e proprietaria del blog www.essenzadivaniglia.com che, con la sua rivisitata versione del più famoso piatto tipico abruzzese, le "Pallotte cacio e ova", ha egregiamente rappresentato la sua regione trasformandolo in un sano streetfood.



Ovviamente, avendola tra noi, abbiamo chiesto alla diretta interessata di raccontarci brevemente la sua emozionante esperienza: “Un anno fa, durante la prima edizione di Tipici dei parchi, ho assistito a showcooking di grandi cuochi stellati: William Zonfa di “Magione Papale” e Niko Romito di “Casadonna”. Quindi, come potrete capire, quando quest’anno mi è stato proposto di partecipare al salone  con un mio showcooking, inevitabilmente, in un primo momento, ho temuto il confronto con gli chef che mi hanno preceduto. Subito dopo, però, ho realizzato che sono una foodblogger chiamata non per mostrare e svelare le più raffinate tecniche di cucina, ma per raccontare una cucina rivolta a tutti: tradizionale, semplice, di casa, ma con un pizzico di innovazione, sperimentazione e fantasia!"
Ed è per questo che Laura ha preso la ricetta tipica abruzzese per eccellenza, forse la più antica e rappresentativa della sua terra e l’ha stravolta, rivisitandola in chiave streetfood. Le pallotte “cace e ove“ dunque non son più affogate nel sugo, ma servite in coni di bambù, con una salsa di pomodoro molto densa sopra a mo’ di ketchup, con una fogliolina di basilico e una forchettina tutto in stile eco-friendly.
Al mio fianco - continua Laura - ho avuto l’onore di avere l’instancabile Carlo Cambi, uomo dalla generosità infinita che mi ha messo subito a mio agio, come fossi nella mia cucina a preparare una cena in compagnia di tanti amici, tra tante risate e tante chiacchiere. E tra una risata e l’altra, abbiamo fritto più di 150 pallotte, andate letteralmente a ruba! Un grazie va anche alle mie amiche food blogger, che mi hanno dato un sostegno non solo morale, ma anche pratico!”.


E così, con i sensi pieni di tutte queste prelibatezze, non abbiamo risparmiato di girare fra gli oltre duecento produttori presenti al salone.



Passeggiare tra gli stand è come fare un viaggio tra le tipicità di questo territorio, che raccontano il mondo sostenibile delle aree protette italiane con un’attenzione alla eco sostenibilità a partire dall’allestimento, realizzato con cartone a nido d’ape, un materiale riciclato e riciclabile che unisce ottima resistenza meccanica, leggerezza, facilità di assemblaggio e bassi costi.

Passando alle produzioni enogastronomiche presenti, tradizione e qualità sono le parole chiave:  dal Pecorino di Farindola al Canestrato di Castel del Monte, dallo Zafferano di Navelli all’aglio rosso di Sulmona, dal grano di Solina alla lenticchia di montagna di Santo Stefano di Sessanio, dal Montepulciano d’Abruzzo all’olio di produzione artigianale dove persino le bottiglie vengono sigillate a mano, dalla ventricina alla mortadella di Campotosto.

Eccellenze della tradizione, dunque, che non mancano di ricerca e innovazione, come l’uso del latte d’asina nella produzione di cosmetici o la valorizzazione delle lane prodotte in area protetta per garantire all’allevatore la giusta remunerazione derivante dalla vendita della lana tosata o, ancora, la stagionatura di formaggi di piccoli produttori che, affinati con erbe, fiori ed essenze provenienti dai monti dell’Abruzzo divengono un’esperienza gustativa sublime, un viaggio tra i mille profumi dei pascoli dove sono presenti trecento essenze foraggere.      



E poi, arriva il momento dell’assaggio che ti apre una vera e propria finestra sulla vita di chi quelle bontà le produce, e scopri l’amore di chi lavora un prodotto di qualità con la consapevolezza di perpetuare una tradizione. Scopri l’orgoglio di essere il custode degli antichi grani che altrimenti andrebbero perduti; scopri la fierezza di chi lavora nel rispetto delle usanze e delle proprie origini; scopri progetti che permettono la trasformazione da semplice fornitore di materia prima a vero e proprio attore della filiera di produzione; scopri che Gabriele D’Annunzio aveva ragione nell’appellare gli abruzzesi “forti e gentili” perché sono persone semplici ma determinate nel portare avanti la loro attività nonostante le difficoltà di un territorio così ferito.

E proprio per farci percepire quale sia la situazione in cui il vero cuore pulsante della socialità aquilana converge, siamo andate in visita nel centro storico della città, quello che oggi è definito come “zona rossa” perché inagibile e disabitato.

E' difficile descrivere la sensazione che si prova camminando attraverso le strade silenziose della città de L'Aquila: il dolore incombe greve su ogni cosa, è incastrato nelle crepe dei muri, sibila come vento tra i vetri rotti, penetra attraverso le porte socchiuse, i cantieri e gli edifici ancora intrappolati tra ferri e impalcature, sospesi tra passato e futuro. Eppure, quasi timidamente, un rumore gioioso emerge a tratti tra i vicoli deserti, parole, musica lieve, risate, tintinnare di piatti e bicchieri su tavole apparecchiate, suoni che sembrano invitare a fermarsi ed ascoltare. E' la voce di una città che prova a rinascere, attraverso un atto semplice e necessario come il mangiare.      
E' un viaggio simbolico nel futuro della città de L'Aquila quello che ci porta a scoprire, in un quieto pomeriggio di maggio, la storica Cantina Ju Boss, riaperta otto mesi dopo il terremoto: un locale che ha visto, nel corso dei quasi ottant'anni di storia, l'avvicendarsi di generazioni di aquilani e non, divenendo un vero centro di aggregazione per l'intera città. Il luogo è perfetto per immergersi nella vera atmosfera aquilana, conoscerne i volti e le persone, mani che si stringono e sguardi che si incrociano davanti a un buon bicchiere di vino. Il consiglio delle food blogger AIFB: salumi tipici accompagnati da un buon Montepulciano, tutto rigorosamente made in Abruzzo.      
Proseguendo per il centro storico ci fermiamo in via Leosini pressoPercorsi di Gusto, locale gestito da Marzia Buzzanca, riaperto quindici mesi dopo il terremoto. E' uno dei tanti posti speciali della città dove, nonostante l'interruzione del gasdotto cittadino, l'attività non si è mai fermata. Pur costretta a ricorrere al gas in bombole per lavorare, Marzia ha trasformato il suo ristorante in una fucina di idee, un laboratorio sperimentale dove la dedizione nella preparazione dei piatti diventa lo strumento per gridare vita con tutto il fiato in gola. Il consiglio delle food blogger AIFB: una delle tante pizze a lievitazione naturale e la crema di ricotta allo zafferano.
A pochi passi dalla celebre Fontana Luminosa, scopriamo l'omonimo ristorante del gruppo Oro Rosso aperto nel 2011 per ridare stimolo al centro storico. Qui i piatti nascono dalla felice combinazione degli ingredienti del territorio come zafferano e ceci rossi di Navelli, scelti con cura e lavorati con passione per offrire sapori semplici e al tempo stesso incredibili per la loro versatilità. Il consiglio delle food blogger AIFB: Orzo ai funghi porcini e tartufo.
Ultima gustosa tappa della giornata è Magione Papale ubicato a pochi passi da Porta Napoli e con vista suggestiva sulla celebre Basilica di Collemaggio. Aperto un anno dopo il terremoto e ricavato dal restauro di un mulino attivo fino alla metà degli anni '90, il ristorante ha portato la città de L'Aquila nell'olimpo delle divinità gastronomiche ottenendo nel 2012 la sua prima stella Michelin. Cenare con i piatti preparati dal celebre chef William Zonfaè un'esperienza unica, che sollecita tutti i sensi: è incomparabile la varietà di profumi, colori e sapori che scaturiscono da cibi tanto suggestivi nella presentazione quanto leggiadri al palato, tali da rivelare sensazioni inaspettate.



Così come unico e inaspettato è il Fuori Salone dei “Tipici dei Parchi”, ovvero il già citato Streetfood® con proposte gastronomiche provenienti da ogni angolo dello stivale: arancini, pane e panelle, pane ‘ca meusa, cous cous e cannoli dalla Sicilia; porchetta di Ariccia e pesce fritto nel cono dal Lazio; trippa e lampredotto fiorentini, Porchetta di Monte San Savino dalla Toscana e poi Piadina Romagnola, olive e fritto ascolano e, ovviamente, essendo in Abruzzo, tanti, tantissimi arrosticini!

Passeggiando tra i vari foodtruck, ambulanti che preparano davanti ai nostri occhi prelibatezze di ogni genere, spesso avvalendosi dei prodotti tipici della loro terra, impossibile non notare L’Escargo, un’incantevole roulotte anni ’70, con colori e design rinnovati, dove gustare eccellenze campane come il panuozzo di Gragnano e i taralli napoletani. Non poteva mancare la birra artigianale, a marchio Streetfood®.

Tante specialità regionali preparate con materie prime di ottima qualità facilmente replicabili in casa, ma con quel modo nuovo di presentare il cibo. Perché la particolarità dello Streetfood sta proprio nel fatto di sublimare la cucina povera, quella dell’Italia che non butta via niente ma in grado di recuperare e trasformare avanzi, come il pane raffermo, o parti di animale altrimenti scartate. Massimiliano Ricciarini, presidente dell’Associazione Streetfood® dice: “Il tour è partito nel lontano 2004 e, negli anni, la spettacolarizzazione del cibo da strada ha portato benefici indiretti all’attività di ogni ambulante e di tutti coloro che hanno deciso di scendere in strada con le loro cucine. Ha contribuito, quindi al diffondersi della cultura dello streetfood.



Un altro tour “fuori salone” che ci ha colpito è stato quello nella cittadina di Sulmona (AQ) dove si è visitato l’antico confettificio “William Di Carlo” nato nel lontano 1833 anche se, a onor del vero, il più antico è quello della famiglia Pelino fondato nel 1783.
Ma la vera storia della lavorazione di quello oggi noto come “Confetto di Sulmona”, risale al XV secolo D.C. grazie all’ingegno delle suore del Monastero di Santa Chiara.
Ed è sempre grazie a loro se ancora oggi vediamo, nelle botteghe del centro storico dell’antica cittadina cuore della Valle Peligna, i vari confetti uniti a forma di rosari, spighe e fiori intrecciati con fili di seta.




Ma ai “Tipici dei Parchi” non abbiamo solo girato e degustato, girato e mangiato anche se, a dire il vero, avremmo volentieri continuato... Un momento di particolare interesse, soprattutto per noi che con i nostri angoli di web ci dedichiamo al mondo della gastronomia, è stato l'incontro #tipicindigitale - il web per competere nel mondo globale moderato da Oscar Buonamano, coordinatore delle attività di social networking della Fabbrica della Conoscenza, con Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola, Luca Defino, esperto comunicazione social e le nostre Patrizia Malomo e Marina Bogdanovic in qualità di soci fondatori e consiglieri AIFB.




La tavola di discussione ha voluto sollevare la questione che ruota intorno al legame fragile tra la tradizione alimentare italiana, quella dei prodotti locali e del contatto umano tra produttori e consumatori, nella globalizzazione delle relazioni e del linguaggio. Perché è in questo contesto che si muovono le piccole aziende agricole, come quelle presenti ai “Tipici dei Parchi” che si sentono - o spesso sono, più per necessità che per scelta - fuori dal mondo della comunicazione e del linguaggio digitale.

Si parla di quelle realtà che sono convinte ch il non dimenticare le origini sia il modo per resistere al presente: e come dargli torto? In fondo l'Italia ha una storia agricola che non può essere azzerata dall’incursione delle strategie commerciali di produzione e distribuzione di massa, soprattutto quando si parla di qualità.

Come ha detto Domenico Sturabotti, Presidente della Fondazione Symbola: "L’obiettivo è quello di promuovere un nuovo modello di sviluppo orientato alla qualità in cui si fondono tradizione, territorio, ma anche innovazione tecnologica e ricerca".


Come farlo e soprattutto come sostenerne i costi?

Luca Defino, esperto di comunicazione digitale, ci dice che i costi del digitale sono decisamente più contenuti rispetto ai mezzi di comunicazione classica come TV, radio e carta stampata in generale, e suggerisce alle attività medio piccole di partire dai CONTENUTI che, nelle realtà in questione si identificano nei valori dell'attività stessa, e di raccontarli attraverso quel processo noto come STORYTELLING che non mira a convincere, ma a coinvolgere raccontando la propria storia, la propria realtà attraverso veri significati. In questo modo si andrà a creare con il pubblico ,che impara a conoscerci grazie alla presenza su una serie di canali (blog / sito, canali social), quella grande cosa chiamata RELAZIONE.

Ed ecco spiegata la presenza alla tavola rotonda delle nostre due rappresentanti Patrizia Malomo e Marina Bogdanovic e di noi blogger socie AIFB al Salone perché noi, giornalmente, raccontiamo storie e lo facciamo attraverso una passione comune: il cibo. L'intento di questo appuntamento, quindi, è stato quello di mettere insieme delle figure che siano complementari tra loro e aprire uno spiraglio per un futuro tavolo di collaborazione che abbia come obiettivo quello di RACCONTARE le aziende agricole, i produttori, ciò che fanno e come lo fanno.

Chissà, magari l'idea proposta dalla nostra Patrizia Molomo "Adotta un foodblogger" prenderà piede…

Mentre che attendiamo che questo nodo venga sciolto, Tamara Un Pezzo della mia  Maremma”, Candida mmm...buonissimo”, Sabrina Nato sotto il cavolo”, Emiliana Abruzzo4Foodies”, Laura Essenza di Vaniglia”, Marianna La Macchiarola” e Loredana La Cucina di Mamma” vi salutano affettuosamente sperando vivamente di essere riuscite a trascinarvi tra la gente, i sapori, gli odori, le tradizioni e i paesaggi di questo verdissimo Abruzzo e, come direbbe il nostro amico Carlo Cambi  “Se solo fossimo realmente coscienti di quello che facciamo quando scegliamo un prodotto che costa meno rispetto a uno che ha un sapore sicuro, torneremmo a fare la spesa come un atto politico, sceglieremmo prodotti con un atteggiamento sociale. Saremmo consumatori consapevoli che scegliendo la genuinità ridiamo vita a chi la produce e ci portiamo a casa il sapore e i benefici che questa scelta, in termini di salute si porta dietro”.

Bistrot Milano Centrale e AIFB

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Un itinerario di sapori dove le tradizioni gastronomiche regionali si fondono con i valori della sostenibilità



Avanti tutta per davvero! Ogni giorno riceviamo numerose proposte di collaborazione che ci riempiono di orgoglio e ci fanno rendere conto che stiamo andando avanti sulla strada giusta.
Dopo il grande successo all'evento che ci ha visto protagonisti nel sondaggio somministrato dall'ISPO, eccoci ancora una volta in prima linea, accanto a un nome che davvero tutti conoscono. Chi non si è fermato almeno una volta, per una sosta più o meno veloce, durante un viaggio più o meno lungo all'Autogrill, presente in 30 paesi e sulle principali autostrade italiane ed estere?
E perché proprio questo gruppo ci ha voluti al suo fianco invitandoci a questo evento?


 
Evidentemente perché abbiamo molti punti in comune: il nostro obiettivo è quello di valorizzare, promuovere e proteggere il nostro patrimonio culturale attraverso la cucina e la cultura del territorio, la conoscenza delle materie prime, dei prodotti, dei processi e metodi di lavorazione, con visite didattiche sul territorio in collaborazione con gli Enti locali e realtà pubbliche e private e tanto altro ancora.
Con gli altri soci e con coloro che interagiscono con noi, abbiamo lo stesso approccio al mondo del cibo. La qualità, la stagionalità, la provenienza. Perché il cibo non è solo una cosa da ingurgitare per riempire il nostro stomaco.

E la filosofia del Gruppo è simile alla nostra. Non un semplice panino farcito tanto per, ma un prodotto che soddisfi con determinati requisiti ogni viaggiatore o avventore dei suoi locali.
Ecco perché nella Stazione Centrale di Milano, che è la seconda stazione italiana per grandezza e traffico, dalle architetture maestose e imponenti, centro fondamentale per i servizi alla città e le vie dello shopping milanese, nonché snodo principale per l’Alta Velocità e i collegamenti con il resto dell’Europa, è nato questo Bistrotdi nuova generazione, premiato come Best Railway F&B Offer ai FAB awards 2013.
Realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche (Unisg) di Pollenzo coinvolta nello sviluppo del progetto che riflette l’evoluzione della cultura dell’alimentazione tesa a valorizzare il prodotto tipico e il recupero di pratiche di lavorazione artigianale. Particolare attenzione è stata riservata alla selezione dei produttori locali, in un’ottica di stagionalità, regionalità e km zero, per offrire alla clientela un’esperienza unica, capace di fondere insieme i sapori della tradizione gastronomica regionale, accessibile per tutti, con i valori della sostenibilità.

L'accoglienza è stata molto sentita, e siamo state messe a nostro agio anche grazie alle note della musica jazz suonata da una band subito dopo il nostro arrivo.

Lo staff Autogrill ci ha deliziato con un aperitivo di benvenuto, per proseguire poi alla scoperta dei "banchi" come un caratteristico mercato urbano, che caratterizzano il Bistrot Milano Centrale, ciascuno con un’offerta gastronomica specializzata e capace di soddisfare le diverse disponibilità di tempo degli avventori della Stazione Centrale di Milano.
Il Frutteto, un’oasi di frutta e verdura fresca con un’ampia scelta di centrifugati, frullati freschi e macedonie.
L’area Cucine di strada, che unisce in chiave originale i piatti tipici della tradizione gastronomica regionale lombarda, tra cui il riso al salto e i gratinati , con le specialità “street food ” come cartocci di fritto di mondeghili (polpette tradizionali lombarde), di patate tagliate al momento, verdure o alici del mediterraneo, con materie prime fresche. 
Al suo interno, il Pastaio, corner che propone una varietà di primi piatti preparati con pasta fresca trafilata al bronzo direttamente prodotta sul punto vendita e disponibile anche in comode confezioni per l’asporto.
La gastronomia - salumeria, con un assortimento di assiette di formaggi e salumi lombardi.
Il wine bar-beer bar, concepito per un consumo più slow con un grande bancone ed un’offerta di vini provenienti da selezionati produttori locali e un’ampia offerta di birre: alla spina non pastorizzata e biologica di Officina della birra oppure in bottiglia di Baladin.


Il forno, con un reparto panificazione direttamente alla vista del cliente, propone un ampio assortimento di pizze, pani e focacce.





La Caffetteria, dove è possibile degustare un autentico caffè napoletano preparato nella tradizionale “cuccuma”, che prima della moka e dell’espresso ha fatto la storia del caffè italiano. La miscela è 100% arabica composta da tre origini diverse tostate singolarmente.

Ed ecco alcuni momenti durante i quali, il panificatore Alessandro Alessandri, con un suo aiutante, ci ha spiegato e illustrato come viene lavorata la pasta per la realizzazione delle focacce farcite, dandoci consigli su come ottenere una ottima pasta madre.



All’interno dello spazio è inoltre presente il corner “acqua del sindaco” dove viene erogata gratuitamente acqua potabile da un rubinetto a libero servizio.
All’area di ristorazione è abbinata anche un market diffuso, presente all’interno del locale, che propone una selezione di prodotti di alta qualità provenienti da selezionati produttori locali tra cui il riso della Cascina Santa Marta del Parco Agricolo Sud di Milano, il cioccolato di Domori, l’olio ligure Anfosso oltre un ampio assortimento di dolci di Montersino e dell’azienda dolciaria ‘C’era una torta…’ di Seregno All’interno dell’area è inoltre possibile acquistare la vera cuccuma napoletana e accessori per la preparazione del tè.

E questa è una carrellata di sfiziosità che ci hanno offerto e che ogni avventore o passeggero, può gustare prima o al ritorno da un viaggio, o come un rilassante momento di convivialità con gli amici:




Ed eccoci a conclusione della serata. Ritorniamo a casa con un prezioso omaggio: il lievito madre con il quale preparano i lievitati del Bistrot.



Ci salutiamo con una riflessione finale del giornalista gastronomico Carlo Cambi, detta durante un altro importantissimo evento, "Tipici dei parchi" che si è concluso qualche giorno fa all'Aquila, al quale eravamo invitati:

"Non esiste buona cucina senza una buona agricoltura, e non si può fare buona agricoltura se non esiste qualità ambientale".

Articolo di Antonella Marconi

Raccontare il cibo - Ristorante “La Mugnaia”, Ivrea

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Credit: Ristorante La Mugnaia

Mai avrei pensato che un ristoratore potesse lanciare un'iniziativa simile, una cena incentrata sul racconto del cibo, da parte di chi di esso parla e scrive, sui giornali o tramite i nuovi media, ma anche da parte di chi il cibo lo sceglie con cura, lo cucina con amore e con sapienza, e lo serve con grazia. Difficile trovare ristoratori che concentrino la propria attenzione su ciò che il cibo rappresenta, sul valore che esso occupa nella nostra vita e sulla sua simbologia. 

 
Ma, è evidente, non tutti i ristoratori sono uguali, e Marco Rossi ed Elisa Campa insieme al loro giovanissimo staff fanno de “La Mugnaia” di Ivrea qualcosa di diverso dagli altri ristoranti.

Credit: Ristorante La Mugnania

La loro attenzione per la materia prima si avverte in ogni piatto, come si avverte il legame con il territorio, quello di Ivrea e della Valchiusella, ma anche l'amore per la cucina dell'Italia meridionale, con suggestioni siciliane e salentine, ma non solo, che spesso si fanno sentire, creando un mix interessante e sempre attentamente pesato e pensato.
La cucina dello chef è raffinata e ammaliante, i piatti curati e studiati in ogni contrasto e consistenza, tant'è che le papille a volte sembrano assaggiare, insieme al piatto, il pensiero che vi si cela, il racconto che con il cibo si fa senza parlare. Così l'invito a vivere il cibo in prima persona, ad allontanarsi dalle moda gastronomica del cibo spettacolarizzato e non goduto, a viaggiare attraverso il cibo e a far viaggiare attraverso il racconto del cibo si legge chiaramente ad ogni boccone.
E durante quella meravigliosa, curatissima cena, ho potuto viaggiare molto, pur non muovendo un passo da Ivrea; se avrete la pazienza di seguirmi, vi porto a viaggiare insieme a me.
Un rammarico iniziale: non essermi segnata il nome del salume morbido friulano di oca e maiale servito in mini croissant di pasta brioche insieme all'aperitivo, forse l'insaccato più buono che io abbia mai assaggiato.

Entrée
“In un prato” - Tometta fresca della Valchiusella, erbe spontanee, polvere di olio di noci
Fatemi essere campanilista, una volta tanto, ma in Piemonte i formaggi li sappiamo proprio fare. E questa tometta freschissima ne è la conferma: il sapore intenso del latte, la sua delicatezza e l'amaro delle erbe spontanee, una delizia.




Antipasti
La trota di montagna in tre versioni – Tartare agli agrumi, carpaccio e carpione di Moscato
Anche qui un'ode al territorio, con la trota  di montagna, declinata secondo la tradizione piemontese più vera, con la battuta al coltello, il carpaccio e il carpione (in questo caso molto delicato, di vino Moscato), un piatto che è spesso un assente ingiustificato sulle nostre tavole.




Polpo croccante al pignoletto rosso su passatina di ceci, olio alla vaniglia 
Il polpo, tenerissimo, viene impanato in farina di pignoletto rosso (un'eccellenza piemontese) e servito con accompagnamento di una passatina di ceci, abbinamento delizioso, impreziosito dall'olio alla vaniglia che sottolinea e non prevalica i sapori. Uno dei piatti che ho amato di più di questa favolosa cena.



Primi piatti
Crema di fave con baccalà confit, crudo di gamberi rossi di Sicilia, olio agrumato
Un piatto che incanta e stupisce, per l'abbinamento di crudo e cotto, per le consistenze così diverse, le dolcezze e le asprezze, un piatto che ho sentito italiano, nel senso più pieno del termine. Ho amato immensamente l'olio agrumato, non aromatizzato agli agrumi, ma nel passato l'ultimo olio franto, quello meno pregiato, poiché “sporcato” dagli agrumi gettati per pulire la pietra dopo la spremitura delle olive, e quindi regalato ai lavoranti. In realtà è un prodotto eccezionale, in cui gli agrumi regalano un profumo incredibile all'olio, e i produttori moderni se ne sono accorti, rendendolo un prodotto di nicchia (e di pregio).




Gnocchetti alle ortiche su crema di bufala affumicata, melanzane e pomodoro fresco
Piatto primaverile, con suggestioni già estive; le erbe spontanee delle valli si uniscono alle verdure estive e alla mozzarella di bufala affumicata, in un insieme semplicemente perfetto.




Secondi piatti
Cosciotto di maialino da latte cotto nel fieno con composta di rabarbaro e zenzero, crema di sedano
rapa
La lenta cottura nel fieno rende le carni del maialino tenerissime e profumate, l'assaggio con la composta di rabarbaro e zenzero era perfezione pura.



Predessert
Gelato fiordilatte con olio extra-vergine al mandarino
Un gelato semplice, eppure incredibilmente profumato dall'olio al mandarino.



Dessert
“Un caffè alla mandorla, grazie!”
Un omaggio al caffè soffiato alla mandorla del leccese, in cui il dolce della mandorla si sposa alla tostatura del caffè.




Ristorante La Mugnaia

Post di: Giulia del blog Alterkitchen

Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II e Food Blogger: insieme per la salute. La ricetta giusta per il tuo benessere.

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L’AIFB, Associazione Italiana Food Blogger, in linea con gli scopi statutari di favorire la conoscenza e l'approfondimento di temi legati al cibo, a seguito della stipula di protocolli d'intesa con i propri partners, è lieta di annunciare il lancio dell’iniziativa “Azienda ospedaliera Universitaria Federico II e Food Blogger: insieme per la salute. La ricetta giusta per il tuo benessere” che la vede coinvolta assieme ad una delle strutture ospedaliere universitarie italiane più prestigiose, l’AOU Federico II di Napoli, e ad una delle aziende leader nel settore della produzione di strumenti di cottura di altissima qualità, la Ballarini
Si tratta in sostanza di un contest rivolto ai soli food blogger, soci e non soci, che ha come scopo quello di sensibilizzare gli stessi e di conseguenza i rispettivi lettori sul tema dell’alimentazione a fini salutistici, sia attraverso ricette per un’alimentazione “sana per i sani”, sia con un’alimentazione “sana specifica per patologie” (es. colesterolo, celiachia, obesità, diabete, rischio cardiovascolare..).
La salute passa anche e prima di tutto attraverso il cibo.
Ogni contest sarà dedicato ad un argomento specifico. Il primo sarà dedicato al colesterolo e partirà Lunedì 15 Settembre 2014 alle ore 9:00 e terminerà Giovedì 30 Ottobre 2014 alle 24:00.
Al termine di ogni contest ci sarà un momento formativo finale al quale potranno partecipare i blogger selezionati secondo i criteri di valutazione che sono forniti da medici esperti, attraverso delle commissioni costituite ad hoc per ogni singolo contest e a seconda della questione affrontata.
Inoltre, ai partecipanti all’evento formativo finale, la Ballarinisarà lieta di omaggiare i propri strumenti di cottura di alta qualità, anch’essi indispensabili per garantire cotture ottimali. Nella foto sottostante potete vedere la bellissima batteria di pentole che vi aspetta!


                                                                         
Tutte le notizie relative al progetto, al contest e agli approfondimenti relativi al tema trattato, le trovate a QUESTO INDIRIZZO.
In particolare, per conoscere il progetto, vi invitiamo a leggere il seguente articolo.
Il regolamento del contest, che partirà ufficialmente a Settembre, invece lo trovate QUI.
Per saperne di più sul colesterolo, oggetto del primo contest, potete leggere questo interessantissimo articolo.
Per prevenire l’ipercolesterolemia, invece qui troverete utilissimi suggerimenti.

Non ci resta che chiudere con l'articolo pubblicato sul web magazine dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, Area Comunicazione e  con il comunicato stampa ufficiale.

COMUNICATO STAMPA

 L’iniziativa di comunicazione e promozione della salute per favorire una corretta alimentazione 
Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II e Food Blogger: insieme per la salute
Al via il primo food contest sul colesterolo cattivo. Il regolamento a cura degli studiosi della Federico II

Napoli, 17 giugno 2014– È innovativa ed in stile web 2.0,  l’iniziativa promossa dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, in collaborazione con l’Associazione Italiana Food Blogger (A.I.F.B.), per promuovere la sana alimentazione.
Food contest periodici e continuativi a cui possono partecipare i possessori di blog dedicati alla cucina e all’alimentazione, soci e non soci dell’Associazione, sulla base di un regolamento identificato dalla commissione scientifica composta dai  professionisti dell’Azienda, secondo l’argomento di volta in volta prescelto. Si tratta del progetto “Azienda Ospedaliera Universitaria e Food Blogger: insieme per la salute. La ricetta giusta per il tuo benessere” che intende favorire un’alimentazione sana non “medicalizzata”, dimostrando che è possibile perseguire il benessere in cucina, sia attraverso ricette per un’alimentazione “sana per i sani”, sia con un’alimentazione “sana specifica per patologie” (es. colesterolo, celiachia, obesità, diabete, rischio cardiovascolare).
Il gioco e la creatività ai fornelli sono, quindi, i benvenuti, purché si rispettino poche e semplici regole. L’argomento cui è dedicato il primo contest è il colesterolo cattivo. Quali sono gli ingredienti da privilegiare e quali da evitare è indicato nel regolamento, redatto sulla base delle evidenze scientifiche, dalla commissione costituita da un team multidisciplinare di professionisti dell’Azienda: Pietro Forestieri, Paolo Rubba, Maria Triassi, Bruno Trimarco, Annamaria Colao, Antonio Colantuoni, Fabrizio Pasanisi, Gabriele Riccardi, Pasquale Strazzullo, Adriana Franzese, Michele Marzullo, Ersilia Troiano.
Il regolamento è pubblicato on line sul web magazine dell’Azienda, Area Comunicazione (http://areacomunicazione.policlinico.unina.it/).
“Realizzare iniziative per migliorare gli stili di vita della popolazione attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini, proponendo la condivisione di soluzioni e limitando l’uso di messaggi prescrittivi, risponde agli attuali bisogni della popolazione ed alla missione istituzionale dell’Azienda che, attraverso l’integrazione tra  assistenza, didattica e ricerca, intende contribuire al progressivo miglioramento della salute della collettività”, sottolinea Giovanni Persico, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II.
Gli autori delle ricette più salutari saranno invitati a partecipare ad un evento formativo organizzato dall’Azienda sul tema dell’alimentazione. Le ricette idonee saranno raccolte in un pamphlet, scaricabile gratuitamente on line, con l’obiettivo di darne massima diffusione.
“Il percorso formativo pensato per i food blogger rappresenta la conclusione di un circuito virtuoso di promozione della salute progettato dal Policlinico Federico II ed intende essere l’inizio di un modo diverso di fare prevenzione, attraverso una maggiore consapevolezza di tutti gli attori coinvolti nel processo di conoscenza, sperimentazione e diffusione delle abitudini alimentari”, aggiunge Natale Lo Castro, direttore amministrativo dell’Azienda Federico II e dell’Unità Operativa Complessa Gestione Risorse Umane, a cui afferisce lo staff dedicato alla formazione.
In sintesi, stop alle prescrizioni, il più delle volte inefficaci, si dà il via alle soluzioni. Per mangiare sano non è necessario rinunciare al gusto né essere chef pluristellati. È fondamentale, quindi, diffondere una sana cultura alimentare, in cui il rigore scientifico e la correttezza metodologica incontrino il gusto ed il piacere della buona tavola, la ricerca dell’equilibrio nutrizionale, la creatività e la sperimentazione in cucina.
“Individuare soluzioni semplici e replicabili per rimuovere gli ostacoli all’adozione di più sani stili di vita. È questo l’obiettivo dell’iniziativa che, attraverso la condivisione delle esperienze ed il coinvolgimento attivo dei food blogger, utilizza un modello di comunicazione partecipativo e di integrazione delle competenze”, sottolinea Alessandra Dionisio, responsabile Area Comunicazione dell’AOU Federico II.
Ai food blogger il compito di realizzare ricette (primi, secondi, contorni, dolci, special kids) originali, replicabili, equilibrate dal punto di vista nutrizionale e le cui materie prime siano facilmente rintracciabili. Saranno, inoltre, preferite ricette che, attraverso l’utilizzo dei metodi e dei materiali più idonei per la cottura degli ingredienti scelti, preservino al massimo il valore nutritivo e le caratteristiche organolettiche delle materie prime.
 “L’impegno dell’Associazione è diffondere la cultura della buona e sana cucina. Perché una cucina sana può e deve essere anche buona, appetitosa e divertente. Partecipare al progetto di promozione della salute della più grande Azienda ospedaliera campana consentirà ai blogger di accrescere la propria consapevolezza nell’uso degli ingredienti, migliorando le proprie competenze. Inoltre, tutti i partecipanti all’evento formativo, in base ad un accordo tra l’Associazione e Ballarini, azienda che produce strumenti di cottura antiaderenti realizzati con tecnologia made in Italy, saranno omaggiati di un set di prodotti finalizzati ad una cottura sana e leggera”, sottolinea Fabio D’Amore, vice presidente dell’A.I.F.B.
“Ballarini, da sempre, promuove prodotti e progetti volti a sensibilizzare la popolazione verso un corretto stile alimentare ed è  quindi è  per noi un piacere e un onore partecipare a questa importante ed innovativa iniziativa di promozione della salute”, sottolinea Alessia Gorni Silvestrini, responsabile comunicazione Ballarini.
L’attenzione per l’alimentazione è oggi più che mai rilevante. Gli obiettivi di programmazione 2014 -2020 della  politica comunitaria intendono, infatti, promuovere la salute come situazione di benessere globale, di autonomia ed autodeterminazione, con particolare attenzione agli stili di vita. L’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II è impegnata su questo tema anche in Europa e coordina il Reference Site “Invecchiamento attivo ed in buona salute”, nell’ambito delle cui attività è contemplato anche l’attuale coordinamento del sottogruppo “Nutrizione”.

Non ci resta che dire di dare massima diffusione a questa bella iniziativa e vi aspettiamo numerosi al contest! Non mancate!

#laterracelochiede terzo Trofeo Salera: competizione tra cuochi a base di riso Carnaroli Salera invecchiato 4/5 anni

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Giunta alla sua Terza edizione, il Trofeo Salera si presenta come uno degli eventi del nostro Bel Paese dedicati alle eccellenze ed il Riso Carnaroli stagionato 4/5 anniè sicuramente uno di quei prodotti che molti chef, anche stellati, hanno conosciuto, apprezzato e condiviso nei propri menù. 

Ecco perché Giancarlino Salera, il papà di questo riso unico, apre le porte agli amici che vogliano condividere con lui l'amore ed il rispetto per la terra e per i prodotti che essa produce, invitandoci il prossimo 15 luglio ad assistere non solo ad una gara all'ultimo mestolo, che vedrà contendersi lo scettro di miglior risotto con 15 cuochi della F.I.C., Associazione Cuochi Lombardia, ma anche a degustare quanto 12 produttori esporranno negli spazi della cascina di Casa Salera.

Ma per gli appassionati delle eccellenze che il nostro Paese sa produrre ci sarà anche l'occasione unica di visitare i luoghi dove questi vedono la luce, ovvero i campi, accompagnati da Pierluigi Salera che ci parlerà del ciclo produttivo, la semina, il raccolto, la lavorazione e la stagionatura del cereale più coltivato e più consumato al mondo.

Tra una risottata e l'altra molti saranno gli amici che condivideranno con noi queste ore dedicate all'enogastronomia di altissima gamma e tra questi l'Olio Ventura, il Culatello La Scapinera, la Brisaola dell'Officina Gastronomica Madesimo, l'Aceto Balsamico Biagini, il Bagoss e, della Pasticceria Morlacchi, il sorprendente Panettone estivo "Pesca e Rosmarino". In assoluta anteprima il biscotto "bergamasco" di mais. Tutto ciò accompagnato dalle bollicine Franciacorta Monzio Compagnoni.
Inoltre la collaborazione tra Pentole Agnelli e Salera, amici di vecchia data, continuerà anche in questa occasione, in cui gli strumenti di cottura utilizzati saranno appunto quelli dell'azienda di Lallio, in Bergamo.

I risotti verranno valutati da una giuria composta da giornalisti, chef, addetti ai lavori e due associati AIFB che premieranno le tre migliori interpretazioni.
L'invito è esteso a tutti gli Associati e vi preghiamo di comunicare all'Ufficio Stampa Salera (press@salera.it), la vostra partecipazione, che provvederà ad inviarvi il pass e le indicazioni stradali. Gli hastagh dell'evento saranno #trofeosalera #laterracelochiede.

L'appuntamento è quindi per il prossimo 15 luglio, dalle ore 10.00, presso l'Azienda Agricola Salera, "Tenuta la Reale", via Cascina Reale, Garlasco (Pavia).
Vi aspettiamo.

BLOG TOUR NELLE TERRE DEL BALSAMICO

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Dalla nascita dell'Associazione ci siamo imbattuti in realtà entusiaste e collaborative ed il programma che stiamo per illustrarvi è frutto della casualità e della motivazione per cui confidiamo nella vostra calda accoglienza.
L'Acetaia La Vecchia Dispensa ha voluto promuovere in maniera esclusiva per i soci AIFB, un delizioso programma alla scoperta dei sapori e dei luoghi in cui nasce l'Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. 
Per i primi 7 di voi che ci manderanno l'adesione, la partecipazione a questo bel week end, la cui ospitalità è cura della Vecchia Dispensa.

6 SETTEMBRE
Arrivo previsto a Modena intorno alle h. 14.30 (orario da confermare). Trasferimento privato a Castelvetro in minibus della durata di c.ca 20 minuti.
Nel pomeriggio verrà effettuata la visita al vigneto ed alle cantine di una piccola azienda di Lambrusco di Castelvetro. Successivamente la dimostrazione dal vivo del lavoro di un bottaio locale quindi cena presso l'Enoteca del Consorzio di Castelvetro, nato per valorizzare le eccellenze del territorio.
Dopo cena, visita notturna dell'Acetaia Storica (le batterie più antiche sono custodite all'interno della ex torre delle Prigioni che si erge nella piazza principale del Borgo). 
Pernottamento presso il B&B di recentissima apertura Aldina Pane e Burro.

7 SETTEMBRE
Colazione, quindi partenza per la visita ad un caseificio locale con produzione di Parmigiano Reggiano.
A seguire lezione di cucina dove imparerete a preparare i tradizionali "tortelloni", sempre presso l'Enoteca del Consorzio, e successivamente pranzerete assaggiando le vostre creazioni. 
La partenza da Castelvetro per Modena è prevista per le h. 15.00 (orario da riconfermare). 

NOTE E SPECIFICHE
- Le prenotazioni alla partecipazione verranno raccolte seguendo l'ordine di arrivo delle mail da inviare a partecipo@aifb.it
- La sistemazione nelle camere sarà condivisa, vale a dire verrete sistemati in camere doppie con i vostri compagni di viaggio perché il b&b ha solamente 2 doppie ed 1 tripla tutte a disposizione per i soci AIFB. Chi non se la sentisse di condividere la camera dovrà rinunciare a questa occasione. 
- L'intero soggiorno è a carico dell'organizzatore tranne una quota di € 15 p.p. relativa al costo di trasferimento da Modena a Castelvetro, totale per l'andata/ritorno. I costi di viaggio sono a carico dei partecipanti.
- Sarà gradito un post sull'iniziativa da parte di chi ha partecipato, da diffondere sui propri blog e sul sito AIFB. 

Non siate timidi e scriveteci. Vi aspettiamo con entusiasmo.


Mini-corsi online: IL MIELE - quarta lezione

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Foto da Google Images

Cari amici, siamo arrivati alla quarta ed ultima lezione sul miele della nostra esperta Francesca Gobbo di Miele Dal Cont: oggi parliamo di MIELE INDUSTRIALE e MIELE ARTIGIANALE, MIELE BIOLOGICO e MORIA DELLE API: sono argomenti molto attuali e che purtroppo mostrano una situazione difficile ed uno scenario abbastanza preoccupante. 
Potete accedere al post e commentare fino a stasera cliccando QUI ed inserendo la password allegata all'email di invio della vostra tessera AIFB.
Per chi se le fosse perse, le lezioni precedenti si trovano nell'archivio "mini-corsi online".

CONTEST "SHORT FOOD MOVIE" (EXPO 2015)

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L’esperienza del cibarsi è sempre meno vincolata al gusto ma, al contrario, diventa un’esperienza multisensoriale, in cui tutti i sensi vengono coinvolti e contribuiscono ad accrescere le nostre emozioni.
Allo stesso modo i racconti, gli articoli, le recensioni che parlano di ingredienti e materie prime, di territorio, di preparazioni e di persone vengono quasi sempre accompagnati da immagini che invogliano il lettore a replicare l’esperienza narrata e ad apprendere nuove informazioni. E’ confermato da studi scientifici, che il senso della vista è quello maggiormente utilizzato dall’essere umano, perché è soprattutto attraverso la visione che siamo in grado di procurarci le informazioni necessarie per il vivere quotidiano. Le informazioni viaggiano sempre più veloci, devono essere immediate e comprensibili e la tecnologia e i media svolgono un ruolo primario nella diffusione dei contenuti.
L’AIFB – Associazione Italiana Food Blogger raccoglie la sfida e coinvolge i propri associati in un imperdibile contest in cui si dovrà raccontare il cibo utilizzando un video!

L’AIFB promuove l’iniziativa di Fondazione Cinema per Roma e Centro Sperimentale di Cinematografia che punta a raccogliere video da tutto il mondo sui temi di EXPO Milano 2015.

“Short Food Movie–Feed your Mind, Film your Planet” (http://shortfoodmovie.expo2015.org/it/) è il nome della piattaforma web sulla quale gli utenti sono invitati a caricare video dai 30 ai 60 secondi che esplorino il binomio cibo-vita con qualunque genere (narrativo, documentario, video arte…). I video, realizzati con qualsiasi mezzo digitale (videocamera, fotocamera, smartphone, tablet ecc.), provenienti da tutto il mondo entreranno a far parte di una mega video- installazione di 752 monitor all’interno del Padiglione Zero di EXPO 2015 e saranno trasmessi per tutta la durata dell’EXPO.

L’autore del video più votato entro il 10 Settembre 2014 sarà invitato alla 9° edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, dove il suo corto sarà proiettato nel corso di un evento speciale. Potete trovare tutti i dettagli sul progetto qui. (link http://shortfoodmovie.expo2015.org/it/register-and-submit)
Inoltre, tutti i video provenienti dalla nostra Associazione, che saranno identificati attraverso il tag “Food Blogger”, parteciperanno ad un concorso ideato in esclusiva per l’Associazione. I video saranno giudicati da Mario Sesti(*) e i due vincitori potranno partecipare al Festival Internazionale del Film di Roma, prendere parte all’anteprima di un film e vivere l’emozione del red carpet.
Per i soci AIFB: DOPPIA OPPORTUNITA' DI VINCERE!

REGOLAMENTO PER I SOCI AIFB
1) Produrre un video della durata dai 30 ai 60 secondi, che abbia come tema il cibo (es: Cibo-natura, Cibo-persone, Cibo-cultura, Cibo-futuro, Cibo-sostenibilità, ecc). Si tratterà quindi di rappresentare un concetto relativo al cibo (non una videoricetta!). 
2) I video dei soci AIFB parteciperanno sia al concorso indetto dalla Fondazione Festival Cinema per Roma (regolamento QUI), sia al concorso riservato solo agli associati AIFB. 
3) I due video vincitori del concorso AIFB verranno individuati tra tutti i video pubblicati dai soci sul proprio blog, entro e non oltre il 30 settembre 2014. Il socio, contestualmente alla pubblicazione del video, dovrà inviare il link del post all'indirizzo partecipo@aifb.it
I vincitori saranno decretati, ad insindacabile giudizio, dal Dott. Mario Sesti. (i video pubblicati oltre il 10 settembre concorreranno solo per il concorso AIFB). 
4) I due soci vincitori (più un accompagnatore per socio) avranno la possibilità di partecipare alla serata di apertura del Festival Internazionale del Cinema di Roma. Le spese di viaggio e di alloggio saranno a carico dei soci vincitori.


(*)Critico e giornalista cinematografico, autore di film documentari, collabora a "FILM TV", "Ciak", "La Repubblica", “Micromega”, “Alfabeta”. E’ considerato il vero ideatore della Festa del Cinema, nata da un suo originale progetto. Ha insegnato al Centro Sperimentale di Cinematografia e al DAMS di Roma III. Per 13 anni ha lavorato all'"Espresso" come giornalista e cronista cinematografico. Ha scritto libri e monografie su Nanni Moretti, il Nuovo Cinema Italiano, il cinema poliziesco e su Pietro Germi, Suoi film documentari sono stati proiettati al Festival di Cannes, al MoMA di New York, all'Università di Princeton, al Festival di Locarno, al Torinofilmfestival, al Museo Guggenheim di New York oltre a essere stati distribuiti in DVD negli USA e programmati da Rai Tre, Raisat Cinema, Sky, Mediaset, La7. E’ stato direttore artistico del Festival Cinema &/è Lavoro di Terni per tre anni e dal 2004 al 2006, Carlo Verdone, lo ha chiamato a curare le retrospettive del Terra di Siena Film Festival. Ha lavorato in RAI dal 1983 al 1991. A Rai Uno ha lavorato con Piero Angela a "Film Dossier" e a "Quark" . Ha curato per tre anni la programmazione di film. A RAI TRE ha lavorato a "Blob" (popolare rubrica quotidiana di satira televisiva) ma soprattutto al primo ciclo di "Fuori orario" (rubrica specializzata in programmazione cinematografica d'alta qualità) realizzando programmi di montaggio di una certa notorietà. Dal 1991 al 2000 ha lavorato a MEDIASET. Ha fatto parte, fino al settembre del 2002, della Commissione Cinema del Ministero dei Beni Culturali che gestisce i finanziamenti per la produzione di film e per le iniziative di cultura cinematografica. Dal 2000 al 2003, è stato responsabile di Kataweb Cinema, sito di Kataweb del gruppo Espresso-La Repubblica. Nel 2004 progetta la Festa del Cinema di Roma e sin dal 2005, dalla sua prima edizione, è uno dei curatori della manifestazione. Dal 2012 è direttore del Taormina Filmfestival.
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