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Channel: Associazione Italiana Food Blogger
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Convocazione Assemblea Soci

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Cari soci,
vi comunichiamo che la convocazione per la prossima assemblea è appena stata inviata via email. Chi non dovesse ricerverla può comunque trovarla nell'area riservata. Ricordiamo che è possibile partecipare solo se, alla data di oggi 1 Aprile 2015, si è in regola con la quota associativa annuale.
Grazie!

Per il nuovo progetto di ricerca l'ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE VENEZIE chiede la collaborazione dei Soci AIFB

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Il ruolo del consumatore nella gestione del rischio alimentare è sempre più rilevante. Ad oggi, tra i consumatori vi è ancora scarsa consapevolezza sia rispetto ai rischi microbiologici sia rispetto a quelli chimici e nutrizionali.

Negli ultimi anni il blog è diventato un mezzo molto usato per lo scambio di informazioni online, in cui le tematiche riguardanti il cibo e l’alimentazione sono sempre più presenti.

I food blogger risultano quindi dei potenziali comunicatori in grado di influenzare le scelte dei loro followers e capaci di innescare processi di socializzazione legati alle pratiche alimentari.

L'Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, in collaborazione con AIFB, desidera dar vita ad una

Analisi dell’impatto di un intervento formativo
 "community centered"
finalizzato alla diffusione nel web

di corrette pratiche di preparazione dei cibi

in ambito domestico

I Soci che lo desidereranno dovranno inviare un'email a osservatorio@izsvenezie.it. Verranno contattati e verranno loro illustrate le modalità di partecipazione. La compilazione del questionario sarà online e richiederà circa 10 minuti.

Seguirà la seconda fase, quella più importante, in cui ogni socio partecipante che darà la propria disponibilità al termine della compilazione del questionario, potrà seguire un corso formativo realizzato dall'Istituto medesimo ed intraprendere con i propri lettori un dialogo diverso circa il cibo, come appunto prevede il progetto di ricerca corrente IZSVe 05/13.

In sintesi l’Istituto ha deciso di coinvolgere i Soci AIFB insegnando loro on line le norme igieniche comunemente conosciute come HACCP e facendo in modo che i soci medesimi, attraverso i loro blog, e altri canali social, divulghino quanto imparato ai loro lettori e followers.

Si tratta di un’occasione molto importante di formazione e consapevolezza per i Soci, alla luce del fatto che questo studio è finanziato dal Ministero della Salute nell'anno dell'Expo.

Ci auguriamo vogliate partecipare numerosi e buon lavoro a tutti!

Blogtour Campania e Ritratti di gusto

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Siamo orgogliosi di presentarvi due nuove imperdibili iniziative che vedono coinvolti i nostri associati: un blogtour in terra campana legato al contest "Colesterolo? No grazie!" in collaborazione con Ballarini e Policlinico Federico II di Napoli, ed un originale evento che lega arte e gusto a Milano, con la partecipazione dello chef Gennaro Esposito (due stelle Michelin) e dell'artista Giovanni Tresso
Formazione, eccellenze gastronomiche, alta cucina, arte e cultura!

Immagini tratte dal web


BLOGTOUR CAMPANIA: 15-17 Maggio

Il 15 Maggio avverrà la premiazione del contest “Colesterolo? No grazie” presso l’Aula Magna della facoltà di Scienze Biotecnologiche a Napoli, dove si terrà l’evento formativo organizzato dall'AOU Policlinico Federico II. Per la cena ci trasferiremo a Caserta presso la Burgeria Gourmet Public House. Il giorno seguente, incontreremo Rosanna Marziale (1 stella Michelin), chef ambasciatrice della mozzarella di bufala campana presso il suo ristorante Le Colonne. Seguiranno la visita al caseificio La Baronia a Castel di Sasso ed il pranzo presso l'agriturismoLe Campestre con visita alla fattoria. Incontreremo Manuel Lombardi: il suo "conciato Romano"è stato premiato comeil migliore d'Italia. Nel pomeriggio, trasferimento a Caiazzo per incontrare, Franco Pepe, uno dei pizzaioli più rinomati del momento, presso la sua pizzeria Pepe in grani: assisteremo alla lavorazione manuale della sua famosissima pizza. Per chi si tratterrà anche la domenica, è prevista la visita alla Reggia di Caserta e la degustazione della pizza di Francesco Martucci, uno dei più famosi pizzaioli casertani,  presso I Masanielli



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Immagini tratte dal web


RITRATTI DI GUSTO: Milano, 5 Giugno

Dieci soci si cimenteranno in un cooking show con lo chef Gennaro Esposito (due stelle Michelin) presso l'hotel Espresso, location dove si terrà l'evento. I protagonisti saranno la pasta senza glutine Massimo Zero, l’eccellenza dei prodotti del nostro territorio e… dieci quadri!
I dieci soci selezionati verranno infatti ritratti dall'artista Giovanni Tresso e le opere saranno esposte per circa tre settimane nella hall dell'hotel Espresso.
I soci parteciperanno con una loro ricetta ideata per la pasta senza glutine Massimo Zero, utilizzando un prodotto stagionale e tipico della regione di provenienza. Le dieci ricette saranno presentate e spiegate dai soci durante il cooking show mentre la brigata dell'hotel si occuperà della preparazione della degustazione per tutti gli ospiti che interverranno al vernissage.
Le dieci ricette e una breve testo di presentazione che illustrerà l'ingrediente principale utilizzato, saranno raccolti in una pubblicazione che verrà consegnata ai partecipanti all’evento.

NB: ai soci sono state inviate due email con tutti i dettagli; il testo delle due email è comunque presente anche nell'area riservata del sito, nella sezione "Comunicazioni ai soci".

La macchia (mediterranea) nel piatto

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La Macchia nel Piattoè l'ultimo contest targato AIFB, legato alla manifestazione GENIUS LOCI – LA TERRA E’ VIVA che si svolgerà a Castagneto Carducci dall’8 al 10 maggio 2015, organizzato da La Strada del Vino e dell’Olio della Costa degli Etruschi e il Comune di Castagneto Carducci.
Lo scopo è quello di valorizzare i prodotti legati ad uno degli ecosistemi più ricchi e interessanti del nostro Pianeta, non sempre sostenuto da una conoscenza adeguata, specialmente per quanto concerne l'utilizzo di ingredienti dimenticati, quali sono appunto gli arbusti. 
Per questo motivo, vi forniamo qui una breve e sintetica carrellata dei principali arbusti che la contraddistinguono, con una specifica attenzione agli usi alimentari che nel passato li hanno visti protagonisti significativi di una cucina che spesso trovava nei profumi e delle sfumature del gusto la sua connotazione territoriale più specifica: l'augurio è che possiate trovare lo spunto per reinterpretarli e riattualizzarli, nel rispetto delle loro peculiarità e con la fantasia che vi è propria



Alloro (Laurus nobilis) : albero perenne, sempre verde probabilmente originario dall’Asia Minore. E’ diffuso in tutte le regioni italiane dalla fascia costiera fino a 800m s.l.m. Le foglie sono ovali, coriacee con la parte superiore molto lucida. Al taglio o schiacciate rilasciano un profumo dolce e molto aromatico. Le foglie possono essere raccolte durante tutto l’anno e essiccate nei luoghi freschi e ventilati. 
Usi alimentari: si utilizzano per dare aroma a vari piatti di carne e soprattutto pesce ma anche verdure sott’olio e sott’aceto. Hanno proprietà digestive, diuretiche e tonico-stimolanti. 

Biancospino (Crataegus Monogyna): associato nell'antichità alla fertilità e, in generale, al buon auspicio, il biancospino è un arbusto spontaneo della famiglia delle Rosacee dai molteplici usi:come pianta ornamentale, come combustibile, come barriera naturale grazie alle sue spine, come rimedio contro l'aritmia e l'ansia. Usi alimentari: i frutti sono usati per preparare sciroppi o marmellate, mentre con le infiorescenze essiccate si fanno infusi o farine

Cappero (Capparis spinosa): arbusto sempreverde che cresce soprattutto nelle zone del Sud e sulle Isole oppure sui muri o fra crepe delle rocce (Capparis inermis). La parte commestibile è il bocciolo non fiorito e la raccolta viene effettuata da maggio fino a fine ottobre. 
Usi alimentari: i capperi vengono conservati sotto sale, sott’olio ma anche nell' aceto.  Il loro sapore forte e pungente impone un uso parsimonioso nelle salse battute, come condimento del pomodoro fresco. E’ commestibile anche il frutto immaturo del cappero che in tal caso in Sicilia viene chiamato Cucuncio.


Corbezzolo (arbutus unedo): arbusto della famiglia delle Ericacee, dal caratteristico frutto tondo e sgargiante, è diffuso in tutta l'area mediterranea, ma anche alle Canarie e inMarocco. Lasciare un ramo di corbezzolo sulla tomba era segno di stima e di rispetto per i defunti, nel mondo romano. Una curiosità: il nome scientifico, Arbutus Unedo, che venne assegnato alla pianta da Plinio il Vecchio potrebbe significare “ne mangio uno solo”, in riferimento al sapore agro dei suoi frutti, che non invogliava alle scorpacciate.
Usi alimentari: aceti, decotti e marmellate, con l'ammonimento a non abusarne, per gli effetti collaterali legati all'alta percentuale di alcool nei frutti maturi

Ginepro (Juniperus communis): arbusto sempreverde alto fino a 3 m con le foglie aghiformi e pungenti. Le piante femminili hanno i fiori a tre squame che si trasformano in bacche tonde e carnose. Vengono raccolte quando sono mature, di colore blu violaceo e si lasciano seccare in un luogo asciutto e ventilato e hanno proprietà antisettiche, balsamiche e diuretiche.
Usi alimentari: le bacche, leggermente pestate o meno si utilizzano nelle cotture lunghe e lente della selvaggina, della carne di maiale oppure nelle marinate per pesci di sapore robusto.

Lentisco(Pistacia lentiscus): appartiene alla famiglia delle Anacardinacee ed è una delle piante più tipiche della Macchia mediterranea in Sardegna, associato spesso al mirto e all'olivastro. Pianta dai molteplici impieghi, in campo medico, ma anche per la produzione di oggetti d'uso quotidiano, è stata il più comune sostitutivo dell'olio d'oliva, nelle zone di diffusione.
Usi alimentari: dalla resina, si produce il liquore tipico di Chio; attualmente, si sta riscoprendo il suo utilizzo come olio, in Sardegna.

Mirto(Myrtus Communis): arbusto sempreverde, della famiglia delle Mirtacee, dalla caratteristica foglia piccola e lucida, diffusissimo in Grecia e in Sardegna, oltre che nell'Italia meridionale e insulare, utilizzato sin dall'antichità per le sue proprietà curative (si credeva che curasse l'ulcera) oltre che come inchiostro e profumo.
Usi alimentari: le bacche servono per la preparazione di sciroppi e del celeberrimo liquore, le foglie per insaporire le carni rosse e la selvaggina

Rosmarino (Rosmarinus officinalis):  pianta spontanea che cresce su tutta la fascia costiera del Mediterraneo arrivando fino a 1500 m s.l.m. Si tratta di un arbusto con le foglie piccole e strette di un colore verde scuro e ricche di ghiandole oleifere. Durante tutto l’anno sono presenti i fiori di colore azzurro-violetto e vengono utilizzati insieme alle foglie. Possono essere essiccate ma il profumo delle foglie fresche è inconfondibile e non paragonabile a quelle secche. E’ una delle piante aromatiche più utilizzate nella cucina mediterranea. Il suo nome deriva dal latino e potrebbe essere “rugiada di mare”, “rosa del mare” o “arbusto di mare”.

Salsapariglia(Smilax Aspera):  appartiene alla famiglia delle Liliacee e il suo nome deriva da una commistione fra il greco “smilè”,raschietto e il latino “asper”, pungente, entrambi in riferimento alla ruvidità delle foglie e alla presenza di spine. E' una pianta sempreverde, comune in Liguria, nell'Italia centro-meridionale e nelle isole, che ricorda un po' gli asparagi nella forma
Usi alimentari: grosso modo le stesse preparazioni degli asparagi, tenendo conto del suo retrogusto amarognolo, piuttosto gradevole

La normativa sui cookie: alcune indicazioni

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La normativa sui cookie emanata dal Garante della Privacy l’8 Maggio 2014 entrerà in vigore il 3 Giugno 2015. Vediamo come mettersi in regola.

Secondo il Garante è necessario che gli utenti/visitatori del sito web siano consapevoli dei cookie che vengono utilizzati, soprattutto quando i cookie sono per finalità di profilazione o comunque di marketing (qui è spiegato cos'è un cookie).
Si individuano pertanto due macro-categorie: cookie "tecnici" e cookie "di profilazione".

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I cookie di profilazione sono soggetti all'obbligo di notificazione.

La scadenza per mettersi in regola è il 3 Giugno 2015

Ringraziamo il socio Renato Romano per l'articolo

Genius Loci: ci vediamo a Castagneto Carducci!

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È tutto pronto per "Genius Loci | la terra è viva" che si terrà a Castagneto Carducci dall'8 al 10Maggio, un festival dedicato ad ambiente, agricoltura, architettura e paesaggio, cibo e vino: saremo presenti come relatori nella mattinata del 9 Maggio al convegno formativo dell’Ordine nazionale e regionale giornalisti con ARGA e UNAGA sull'informazione agroalimentare.
Qui il programma completo della manifestazione.
Oggi è l'ultimo giorno per pubblicare le vostre ricette in concorso per il contest "LA MACCHIA NEL PIATTO" legato alla manifestazione, ed organizzato dal Comune di Castagneto Carducci e dalla Strada del Vino e dell'Olio Costa degli Etruschi: vi ricordiamo che la giuria è composta da Luciano Zazzeri, chef stellato de La Pineta (Bibbona), Anna Maria Pellegrino, presidente AIFB, Pier Mario Meletti Cavallari, Presidente Strada del vino e dell'olio Costa degli Etruschi, Fabrizio Mandorlini, vice presidente ARGA (Associazione Regionale Giornalisti Agroalimentari) e Claudio Mollo, giornalista, fotografo e critico enogastronomico. Tutti i dettagli in questo post.
La premiazione del contest avverrà proprio il 9 maggio a Castagneto Carducci, perciò invitiamo tutti i soci e gli appassionati - toscani e non - a partecipare alla manifestazione nello splendido scenario di Castagneto Carducci!


La macchia nel piatto: ecco i finalisti!

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Siamo dunque giunti alla fine del percorso per il contest "La Macchia nel Piatto" legato alla manifestazione Genius Loci, che ha visto i soci AIFB ed i cuochi amatoriali impegnati in un'appassionante competizione sulla macchia mediterranea e i sui profumi, colori e sapori interpretati in chiave culinaria.
Il livello delle ricette è apparso subito molto buono e siamo orgogliosi di annunciarvi i tre finalisti, elencati in ordine alfabetico per cognome:

Maria Greco Naccarato con il coniglio nella macchia
Andrea Zinno con il cinghiale nel raviolo

Il vincitore assoluto sarà annunciato sabato 9 Maggio alle ore 15.00 durante la manifestazione Genius Loci a Castagneto Carducci: vi aspettiamo!

AIFB ringrazia sentitamente il Comune di Castagneto Carducci, la Strada del Vino e dell'Olio Costa degli Etruschi, la socia Cristina Galliti, la giuria e tutta l'organizzazione di Genius Loci per la fiducia accordataci e per aver ideato un contest tanto stimolante e originale.

"Impiattiamo la vita": complimenti alla vincitrice!

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http://impiattiamolavita.wix.com/home
impiattiamolavita.wix.com/home

Impiattiamo la vitaè molto di più del titolo di un concorso letterario. E' un invito, un suggerimento, uno stimolo a guardare al cibo in un modo diverso, capace di abbracciare tutti gli aspetti del nostro essere, in una dimensione  memoriale che dalla rievocazione del passato recupera un gusto nuovo e intenso, per assaporare il presente.
Che il senso del gusto sia stimolo a ricordare, è concetto ben radicato nella nostra cultura, tanto da diventare un luogo comune: ed è questo che ha reso duplice la sfida lanciata dalla direzione delle Attività Culturali e Turismo della città di Venezia, in collaborazione con il Centro Cultrale Candiani e l'Associazione Culturale Voci di Carta, quando hanno chiesto ai partecipanti al concorso di dar voce alle emozioni suscitate da un piatto: recuperare questo fil rouge che ci lega alla nostra storia e farlo in modo personale, originale, non banale.
I Soci AIFB non solo hanno raccolto il guanto della sfida, ma hanno anche portato a casa la palma della vittoria, in una gara di altissimo livello letterario, alla quale hanno partecipato 60 elaborati, giudicati da una giuria di esperti, formata da Giampiero Rorato, scrittore e giornalista enogastronomico; Alessandra Gennaro, curatrice dei libri dell'MtChallenge e socia fondatrice dell'AIFB; Raffaele Girotto, cuciniere ed autore; Maria Teresa Crisigiovanni, fotografa e presidente dell'Associazione culturale “Voci di carta” di Venezia-Mestre.

Il racconto vincitore è risultato “Le frittelle di Giselda” della nostra socia Silvia Leoncini, premiato per la sua scrittura vibrante, per la capacità di ricostruzione degli scenari, in un intreccio parallelo  fra la  storia che si compiva fuori dalle mura di casa e quella storia  tutta domestica, fatta di gesti, di riti, di metalinguaggi che non hanno bisogno di parole per essere compresi e che riescono comunque ad arrivare al cuore. Questa è stata la carta vincente del racconto di Silvia, premiata assieme agli altri finalisti il 28 marzo scorso, in una cerimonia che ha visto, fra l'altro, anche la presenza della nostra Presidente, Anna Maria Pellegrino, impegnata ai fornelli a riprodurre le ricette protagoniste dei racconti premiati: un modo diverso di condividerli, ma ugualmente intenso e partecipato.
A Silvia e agli altri partecipanti al concorso vanno le congratulazioni del Direttivo.

Emergenza Xylella: la situazione

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La diffusione del contagio della xylella, il batterio che ha colpito gran parte degli ulivi del Salento, ha avuto gravi conseguenze sull'economia della Regione e dell'Italia intera: la decisione di abbattere gli ulivi, poi, ha suscitato forti rimostranze e polemiche, che hanno contribuito a rendere ancor meno chiaro uno scenario alquanto confuso. Prevenzione, diffusione, misure di contenimento, controllo del contagio, sono tutti argomenti caldi a cui AIFB non può restare sorda: da qui, dunque, la volontà di approfondire l'argomento, facendo il punto della situazione e coinvolgendo alcuni fra i soggetti direttamente interessati, protagonisti di altrettanti articoli che ci auguriamo possano aiutare a comprendere meglio la natura del problema e le strategie adottate per arginarlo.



Caso Xylella: facciamo il punto?
di Tamara Giorgetti

Zitti. Tutti, o quasi, i politici pugliesi eletti alla Camera o al Senato sul caso Xylella non parlano come se non fosse un problema loro. Per correttezza, solo un senatore di Sel ha fatto sentire la sua voce. Il sospetto è che la questione sia troppo spinosa per essere affrontata a caldo, nel clima politico delicato che precede le imminenti elezioni regionali; il dato di fatto,è il silenzio assordante, di fronte ad un caso che sta scuotendo non solo la Puglia, ma anche l'Italia e l'Europa.

E' bene fare un po' di storia. Questo batterio è stato chiamato Xylella fastidiosa. Sì,  a volte la scienza ha il suo senso dell’umorismo. Definire “fastidioso” un batterio che distrugge numerose piante ha un senso poiché, in effetti, provoca numerosi fastidi sia ambientali che economici. La Xylella fastidiosa, quella che sta riducendo a tronchi morti molti ulivi in Puglia, in particolare nel Salento, è, scusate se usiamo un terminologia scientifica ma lo riteniamo opportuno, un batterio della famiglia delle Xanthomonadaceae e  si caratterizza per l'elevata variabilità genetica e fenotipica (ossia l'insieme delle sue caratteristiche osservabili). Se ne conoscono al momento quattro sottospecie che infettano circa 150 diverse piante: in particolare la fastidiosa colpisce olivi, viti e aceri;  il meccanismo di attacco è però simile per tutte le varietà del batterio: si moltiplica nei vasi conduttori dello xilema delle piante ospiti: ostruisce i vasi che trasportano acqua e nutrienti dalle radici al fusto e fino alle foglie, creando una sorta di gel che impedisce il regolare flusso del fluido. Le piante infette così si seccano completamente. Un fenomeno che non colpisce, o ha colpito, solo il nostro paese ma anche il resto del mondo compreso il continente americano. E questo è il triste scenario che si prospetta in una parte della Puglia regione che, come è noto, produce uno dei migliori olii del mondo grazie ai suoi ulivi anche secolari. Infatti, con oltre 377.000 ettari di terreno coltivati a olivi, la Puglia è la prima regione olivicola in termini di superficie, con una produzione di oltre 11 milioni di quintali di olive all'anno. A tutt'oggi le stime a campione sulle piante malate non riescono a chiarire l'entità del problema. Se i politici nazionale tacciono, a farsi sentire sono gli amministratori locali, le associazioni dei coltivatori e quelle ambientaliste che hanno iniziato una raccolta di firme a difesa degli ulivi ad oggi sono decine di migliaia già consegnate al Presidente della Regione Vendola.

La Regione Puglia ha affidato ai migliori centri di ricerca lo studio di questo fenomeno ma anche le organizzazioni di categoria stanno dandosi da fare. Secondo la Coldiretti di Lecce nella zona di Gallipoli maggiormente interessata al fenomeno,  i casi positivi interessano il 10%  degli ulivi e, quindi, quelli malati potrebbero essere un milione e il loro abbattimento, una delle "cure" messe in atto, comporterebbe un ulteriore calo della produzione di olio che dopo la pessima stagione del 2014 ha già fatto segnare un calo del 35%. Drammi economici e ambientali che potrebbero dare la possibilità agli speculatori, sempre in agguato, di sfruttare ai propri fini questa situazione tant’è che la Regione Puglia ha approvato una legge per impedire per 15 anni una diversa destinazione d’uso dei terreni che si “libererebbero” degli ulivi. C'è chi fa notare che 15 anni potrebbero essere pochi perché un ulivo può essere “produttivo” dopo almeno 25 anni dal momento in cui è piantato.  Ma non solo. Ci sono anche strane coincidenze: dal 2008 infatti la Monsanto, il colosso della produzione di sementi transgeniche, si occupa anche della selezione di specie resistenti al batterio riscontrato in Puglia attraverso “Allelyx”, società partecipata che ha per nome l’anagramma di “Xylella”. Ovviamente del caso, visto che la diffusione di Xylella non interessa solo il nostro paese se ne sta occupando anche l’Unione Europea. Le sue risoluzione a dire il vero non sono molto chiare ma, scavando attentamente nei comunicati ufficiali diffusi, sembra proprio che la UE abbia deciso l’abbattimento di numerosi ulivi per contrastare il batterio e prevenire la sua diffusione. Finalmente, nonostante le premesse negative e l'ostinazione della Francia in particolare che teme per le sue viti e la lunga maratona  del Comitato per la difesa delle piante segno di divergenze tra i rappresentati dei 28 paesi  dell'Unione, si è deciso che, almeno per ora, la temuta strage di ulivi e la “desertificazione” del Salento non ci sarà. Invece tolleranza zero nelle zone a nord del Salento, come a Oria nel brindisino, dove la Xylella rischia una diffusione verso il resto d'Italia e,  in attesa di prove scientifiche, restano bloccate anche le esportazioni di piante (circa 150 specie, tra cui la vite che preoccupa la Francia) dalla Puglia.

Le nuove misure della UE, che entreranno in vigore tra circa un mese, nonostante un “ammorbidimento” rispetto a quanto inizialmente proposto dalla Commissione, hanno suscitato lo stesso polemiche. Ma, secondo Bruxelles, il Comitato ha trovato un "buon equilibrio tra principio di precauzione e tutela del patrimonio".

E il portavoce del Commissario UE alla Salute ha confermato che in Salento "non sarà obbligatorio eradicare gli alberi se non sono vicino a vivai, o in situazioni particolari, come ad esempio in prossimità di alberi di valore storico, o in situazioni che le autorità locali reputino di rischio e quindi che questa misura sia necessaria

 Un risultato riconosciuto, oltre che dalle associazioni agricole raccolte in Agrinsieme, anche dal presidente della Regione Puglia Nichi Vendola secondo il quale "il rischio di desertificazione del Salento è stato sventato",  anche se "occorre un approfondimento su alcune parti critiche", tra cui l'estirpazione delle piante sane e il divieto di commercializzazione della vite. Come si diceva,  non mancano però le critiche. Infatti,  Unaprol-Consorzio olivicolo italiano, si è detto "preoccupato per le misure adottate da Bruxelles che, invece di favorire il superamento dello stato di crisi, spingono in un ghetto la mancata soluzione del problema" facendo del Salento "il lazzaretto d'Europa". Intanto, ha spiegato il coordinatore socialista per le politiche agricole ex ministro dell'agricoltura durante il governo Prodi, Paolo De Castro (Pd), "ha tre obiettivi: bloccare l'import di materiale infetto, fornire aiuti agli agricoltori, e ricerca" e  la Commissione UE sta già valutando misure all'interno dei fondi per lo sviluppo rurale della Puglia e si stanno studiando altre forme di finanziamento oltre a quelle per progetti di ricerca.
Insomma, qualche cosa si muove sia in Europa che in Italia dove il Ministro all'agricoltura Maurizio Martina ha annunciato che il Consiglio dei Ministri ha dato via libera all'utilizzo del fondo di solidarietà contro la Xylella con 11 milioni stanziati per produttori e vivaisti danneggiati, e in base a cui la Puglia potrà chiedere lo stato di calamità. È la prima volta che questa norma si applica a emergenze fitosanitarie provocate da infezioni degli organismi nocivi, prevista solo per eventi atmosferici.
Partirà poi il Piano olivicolo nazionale da 20 milioni per il triennio 2015-2017.  Decisione salutata positivamente sia dalla Coldiretti ("un segnale importante") che dall'Alleanza cooperative Agroalimentari. Il Movimento 5 stelle non si smentisce ed è critico. Secondo i grilllini infatti il decreto governativo "non basta: è solo uno dei primi passi necessari" e chiedono  che venga "dichiarato lo stato di calamità nazionale". Inoltre, il movimento verificherà che "gli stanziamenti previsti vengano effettivamente erogati". Comunque, c’è un tratto comune: quasi tutti contestano il Commissario straordinario nominato ad hoc Giuseppe Silletti.

Al momento lo stato dell'arte è questo, ma non possiamo dimenticare che è stato preceduto da numerose polemiche e manifestazioni. Non è piaciuto infatti al ministro Martina l'embargo decretato dalla Francia "E' inopportuno - ha detto - e la Francia ha preso una decisione unilaterale senza prima coinvolgere l'Europa". Una decisione grave dal momento che ha insinuato il dubbio in altri paesi europei con conseguenze sicuramente negative  per il nostro export. Le contestazioni e le proteste sono giornaliere e alcune hanno toni duri come le catene umane per impedire le eradicazioni. Ma in Puglia il clima era ed è teso. Il Governatore uscente Nichi Vendola, si è schierato nettamente a favore dei contadini e dei produttori-  “Gli agricoltori pugliesi sono vittime di questa situazione, veniamo colpiti al cuore - ha detto il Presidente in più di una occasione - anche le reazioni più emotive sono comprensibili. Chiediamo di essere aiutati a combattere questo flagello, questo passaggio così drammatico e non puniti”. E, poi, dal governatore pugliese è arrivata una necessaria puntualizzazione: “l’olio pugliese–  ha puntualizzato - è sempre quello straordinario prodotto tra i migliori del mondo. La Xylella colpisce le piante non il prodotto”. La confusione è grande e non poteva essere diversamente e c’è chi ha messo in discussione la validità scientifica che è alla base delle decisioni europee.  Come, ad esempio, una importante associazione ambientalista: Peacelink che, in una lettera ala Commissario europeo alla salute Andriukaitis, nella UE del caso infatti non si occupa il commissario all’agricoltura, avverte che “le misure previste dalla Commissione per tentare di eradicare il batterio Xylella fastidiosa potrebbero non corrispondere al reale agente patologico a cui si riferiscono”.

Comunque, bisogna ammettere che ci si sta muovendo per affrontare il problema: Camera e Senato lo stanno facendo. L’importante è che il tutto non si risolva con gli aiuti economici che darebbero sì una boccata d’ossigeno a produttori e contadini. Infatti, non è banale sottolineare  che in questo passaggio si stia mettendo in discussione anche un aspetto simbolico: l'ulivo per la Puglia non è una delle tante piante presenti sul suo territori è un vero e proprio emblema. Basti pensare che una pianta di ulivo campeggia da sempre nel suoi simbolo a sottolineare lo stretto legame tra quella terra e quella pianta secolare.

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P.S. Il caso Xylella è un "work in progress": ogni giorno riserva delle novità. Le ultime:
1) Il Tar del Lazio ha sospeso la dichiarazione dello stato di emergenza per la diffusione in
Puglia del batterio e il Piano d'intervento previsto per fronteggiare il rischio fitosanitario. Il tribunale amministrativo ha accolto così  le richieste di associazioni, cooperative e aziende vivaistiche pugliesi.
2) le analisi su una pianta di ulivo sospetta trovata in Liguria hanno dato esito negativo. A comunicarlo, seppure informalmente, alla Commissione UE sono state le autorità italiane 

Un anno (e due mesi) di AIFB

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Non chiedetevi  che cosa AIFB possa fare per voi, ma che cosa voi potete fare per AIFB”: con queste parole si è chiuso il discorso di Anna Maria Pellegrino, a conclusione dell'Assemblea dei Soci che si è tenuta lo scorso 11 aprile a Firenze e che ha segnato un altro importante momento, nella seppur breve vita della nostra Associazione.
È stata l'occasione  per un consuntivo globale che ha dato un significato più ampio e profondo a quel “bilancio” che doveva essere approvato, come prima voce dell'ordine del giorno e che ha sancito una sempre più convinta unità, fra direttivo e soci, legati dalla comune volontà di perseguire gli stessi obiettivi: quelli che, poco più che un anno fa, erano buoni propositi scritti solo sulla carta e che oggi, invece, hanno preso forma concreta, in una selezione di attività formative seguite con impegno, entusiasmo e partecipazione sempre più corale: i primi frutti, ben al di là delle più rosee aspettative, vedono una percentuale di rinnovi di circa l'80% dei vecchi soci, un aumento degli iscritti e, soprattutto, una già consolidata credibilità di AIFB che ha confermato la sua collaborazione a partnership di prestigio, con interlocutori increduli ed entusiasti della qualità delle nostre risposte e sta vagliando proposte altrettanto autorevoli, nelle quali è chiamata a sostenere un ruolo sempre più attivo e di rilievo.
Ovvio che qualche intoppo ci sia stato, nella gestione di una realtà che, fino a quel famoso novembre 2013, esisteva solo nella mente dei suoi fondatori: riconoscerlo con onestà e aggiustare il tiro è il miglior modo per non perdere di vista i nostri obiettivi, in un percorso che ciascuno di noi - soci e direttivo - sta percorrendo in modo sempre più convinto e consapevole.
Ultima annotazione: ci volete bene.
Non faceva parte delle voci a bilancio e, chissà, forse nessuno di noi, neppure il più ottimista,  avrebbe mai pensato di inserirla: ma poter toccare con mano da quanto e quale affetto siamo circondati, non può che rincuorarci a proseguire sulla strada intrapresa, forti di un gruppo soci di cui andare orgogliosi e con il quale, ne siamo sicuri, faremo ancora tanti, tantissimi passi avanti.

Il Direttivo

CIBO&SALUTE, IL PROGETTO DI UNINDUSTRIA TREVISO PER EXPO2015

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I prossimi sei mesi saranno un momento molto importante per il nostro Paese, sotto i riflettori del Mondo in quanto organizzatore dell'Expo. I temi ispiratori, "Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita" non possono però transigere dalla salubrità del cibo e dal rapporto che quotidianamente abbiamo con esso.

Ecco allora prendere vita il progetto CIBO&SALUTE promosso da UNINDUSTRIA TREVISOper amplificare, a livello territoriale, alcuni dei temi che saranno al centro del dibattito nei sei mesi di EXPO2015. Un’occasione per riaffermare la capacità e la sapienza manageriale italiana nel settore agroalimentare, un tempo di riflessione in cui convolgere il territorio per diffondere la conoscenza e verificare la consapevolezza esistente in merito al rapporto fra stile di vita, alimentazione e salute.

Sotto l’egida di un Comitato Scientifico composto da membri delle Direzioni Sanitarie dell’UOC di Medicina Interna dell’Ospedale Ca’Foncello di Treviso, dell’UOC di Gastroenterologia dell’Ospedale Santa Maria del Prato di Feltre, del Servizio di Dietetica e del Dipartimento di Prevenzione delle due ULSS, saranno rappresentati il mondo scientifico con le ultime ricerche sul rapporto cibo-salute e primo promotore della prevenzione, la realtà imprenditoriale e il suo impegno nella ricerca e nell’innovazione in materia agroalimentare, i tecnici e gli esperti di alimentazione e benessere.

Questo il calendario degli incontri.
MARTEDì 26 MAGGIO – Treviso, Palazzo Giacomelli ore 17
PIACERE E SALUTE. LA TRADIZIONE ALIMENTARE TRA VECCHI E NUOVI SAPORI E STILI DI VITA.
Si parlerà di biodiversità agroalimentare come garanzia di qualità dei prodotti e salute del consumatore, dell’influenza che ha il cibo sul nostro stato di salute ma anche della cucina di tradizione e del suo cambiamento in funzione dei nuovi modelli alimentari.

MERCOLEDì 24 GIUGNO – Treviso, Palazzo Giacomelli ore 17
ALCOL E SALUTE. PREGIUDIZI E VERITA’
Si parlerà della ricerca scientifica e degli ultimi risultati in merito ai benefici del vino sulla nostra salute, in primis il suo potere antiossidante, si leggeranno i nuovi scenari di consumo. Al centro del dibattito anche la ritualità dei distillati, come la tradizione e la cultura locale è arrivata ai giorni nostri per affermarsi come consumo consapevole.

MERCOLEDì 23 SETTEMBRE – Treviso, Palazzo Giacomelli ore 17
I NUTRACEUTICI: DIETA O TERAPIA?
L’attenzione alla salute e al nostro benessere fisico e mentale influisce sempre più sull’aspettativa di vita e quindi sulle nostre abitudini alimentari. La ricerca si sta sempre più concentrando sugli alimenti chiamati ‘funzionali’ in grado di produrre effettivi positivi nel nostro organismo, limitando i rischi legati all’insorgere di malattie. Quando ci si riferisce alle singole sostanze e non al cibo nel suo complesso, allora si parla di alimenti nutraceutici, neologismo derivato dall’unione dei termini nutrizione e farmaceutica. 

VENERDì 9 OTTOBRE – Treviso, Palazzo Giacomelli ore 17
SPORT E SALUTE. MUOVERSI DI PIU' PER VIVERE MEGLIO.
Una buona alimentazione rappresenta la base di un corretto stile di vita. In ambito sportivo, dove la richiesta energetica è finalizzata al miglioramento della performance, un'alimentazione corretta è di grande ausilio e diventa in molti casi parte integrante della preparazione atletica. Si conosceranno i numerosi benefici che conseguono ad una regolare attività fisica, sia da un punto di vista medico-scientifico che come stile di vita mirato ad una positiva concezione di sé.

AIFB, in qualità di media partner,  avrà un ruolo importante, facendosi promotrice on line del progetto e porterà in sala, in occasione dei quattro incontri, domande e curiosità nate in rete. Siamo quindi tutti invitati non solo a partecipare agli incontri ma anche, per ogni singolo argomento affrontato, sviluppare dei quesiti da porre in sala personalmente o attraverso i soci che saranno presenti. Gli hasthag di riferimento saranno #ciboesalute, #unindustriatv.

Animerà Palazzo Giacomelli per l’intera durata di EXPO2015 la mostra Saòr prodotta e organizzata dallo IUAV di Venezia, per promuovere una conoscenza dei prodotti del territorio veneto non solo fisica e organolettica, ma anche culturale. Si parte dalla loro origine, a tratti curiosa e appassionante, per arrivare alle specificità dei territori di provenienza, i metodi di coltivazione e raccolta, le proprietà che contribuiscono a renderli ingredienti preziosi e ricercati nelle migliori cucine del mondo. Una mostra tematica con progetti, pannelli esplicativi e prototipi, ricerche progettuali di design e di comunicazione per indagare il ciclo di vita di un prodotto alimentare ed arrivare a nuove proposte e nuovi concept.

I pizzoccheri: riparte la rubrica Food Trotter!

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Ripartiamo ufficialmente con la rubrica Food Trotter: ogni giovedì andremo alla scoperta di un prodotto, un'eccellenza del nostro territorio o di un piccolo produttore, uno di quelli che non hanno voce ma fanno grande il nostro paese. Seguiteci!


I Pizzoccheri di Teglio, l'Accademia del Pizzocchero e il territorio valtellinese
diAntonella Marconi




"Il viaggio verso Teglio cominciava sempre all'alba, un occhio ai bagagli da caricare e uno all'orologio per calcolare i tempi giusti per prendere la piccolissima e amarissima pastiglia contro il mal d'auto. Sì, perché una volta arrivati a Lecco, il viaggio era lunghissimo e tortuoso: si percorreva la statale che costeggiava tutto il lago, e se per caso si incontrava il tir che andava a Cepina a caricare l'acqua, diventava ancora più lungo perché non si poteva mai sorpassare! E una volta arrivati in cima al lago, dove finiva, nel paese di Colico, si faceva la prima tappa. Si scendeva dalla Cinquecento color sabbia, si entrava al bar sulla destra e mangiavamo tutti un panino. "Non prendere cose liquide" mi diceva la mamma. E allora mi ricordo che mi trovavo tra le mani un grandissimo e profumatissimo panino col salame. Questo era come una sorta di premio e io non vedevo l'ora di arrivare alla fine del lago per potermelo gustare! E poi di nuovo in macchina, passando per Morbegno, poi Sondrio. Io leggevo i nomi dei vini che differenziavano i terrazzamenti di uve. E all'ultimo cartello capivo che quasi c'eravamo; su per la Strada Panoramica dei Castelli o quella di San Giacomo e poi eccoci arrivati in paese: la chiesa, le case in sasso con i gerani alle finestre, l'aria frizzante e pulita e il sole caldo. Si, la vacanza era proprio iniziata..."
La Valtellina, lunga 120km e larga 66, è una fantastica valle percorsa dal fiume Adda che scendendo dalla Valle di Cancano, confluisce nel Lago di Como. Lungo tutto il suo percorso possiamo ammirare i lunghi terrazzamenti che scendono a valle, dove vengono coltivate le uve Nebbiolo, localmente dette chiavennasche, utilizzate per produrre dell'ottimo vino.





Toponomastica e cenni storici

Il nome deriva sicuramente da quello di Teglio (in latino Tellius), un antico centro abitato situato nella parte centrale della vallata, a 900 mt di altitudine, sul versante retico ma affacciato sulle alpi Orobiche dove dalla pineta, attraversata da cunicoli che la collegavano nell'antichità al Palazzo Besta, si erge la "Torre de li beli miri", simbolo di Teglio, che è tutto ciò che rimane di un castello medievale ricostruito sulle rovine di uno precedente di fondazione romana, e da cui si gode di un fantastico panorama su tutta la valle.
Teglio ha dato il nome all'intera valle (Vallis Tellina in latino), e in età romana divenne "Castrum" cioè fortificazione, dove alloggiavano le legioni romane.
Alcuni riconducono il nome Teglio all'albero del Tiglio (Tilia in latino) e quindi Valtellina a Valle dei Tigli.
Secondo altri, il nome deriverebbe invece da Vallis Turrena, ossia "Valle dei Tirreni" oppure alle numerose torri che un tempo caratterizzavano la valle.
Come si può notare sono tante le correnti di pensiero e le ipotesi circa l'origine del nome. Quello che di sicuro si sa è che la vallata fu colonizzata, fin da epoche antichissime, da popolazioni di origini celtiche, liguri ed etrusche.Virgilio, il comasco Plinio il giovane e Marziale narrano di come, in età pre-romana, i primi insediamenti ligustici ed etruschi avevano importato in Valtellina la vite dalle zone delle Cinque Terre e dalla Lunigiana.
I periodi storici si susseguono: nel medioevo  passa dalla dominazione romana a quella longobarda, poi gli avvenimenti bellici proseguono con la seconda guerra di indipendenza e la prima guerra mondiale, quando fu costruita una linea difensiva italiana per impedire un eventuale sfondamento del Fronte attraverso la neutrale Svizzera: la Linea Cadorna.
Ancora oggi sono visibili mulattiere, trincee e i bivacchi utilizzati dagli alpini durante la secondaguerra mondiale; arrivando ai giorni nostri, ricordiamo che la Valtellina è stata coinvolta nel 1987 nella tragica frana di fango che ha sepolto il paese di Sant'Antonio Morignone, cancellandolo dalle cartine geografiche e cambiando il territorio circostante.
Tutta la valle viene percorsa da un grande numero di vacanzieri per tutto il periodo dell'anno: o per divertirsi sciando sulle numerose piste, o per percorrere sentieri che portano fino ai rifugi, o semplicemente per una gita enogastronomica alla ricerca degli antichi e genuini sapori che ancora vengono apprezzati e difesi.
Ovviamente la viabilità è stata migliorata, infatti oltre al lungolago si può percorrere la più scorrevole strada con gallerie che tagliano di parecchio le strade tortuose di una volta.



Specialià

Quando si parla di Valtellina, oltre a citare le bellezze paesaggistiche, occorre dar conto di quelli che sono i prodotti tipici della sua tradizione enogastronomica che sono davvero numerosi: polenta taragna, p olenta Cròpa, pizzoccheri, sciatt, taroz, bisciola, chiscioi, bresaola della Valtellina, slinzega, bitto, casera, vini rossi DOC e DOCG. Fra questi ultimi, i più noti sono l'Inferno, il Grumello, il Sassella,  il Valgella, il Maroggia e lo Sforzato di Valtellina (ottenuto con uva passita). Sono assenti i bianchi e molto rari i vini rosati; poi c'è il famoso amaro Braulio. Chiunque si fosse trovato anche solo di passaggio a percorrere la valle e a fermarsi in un locale tipico, avrà sicuramente assaggiato uno o più di questi prodotti.



Pizzoccheri e grano saraceno

Il piatto tipico che viene subito in mente quando si parla di Valtellina sono i tipici pizzoccheri. Nello specifico, parliamo di quelli di Teglio. Si potrebbe pensare: ma se è un piatto della tradizione valtellinese, perché specificarne così precisamente il luogo di provenienza? Perché come per tutte le ricette tramandate, in ogni famiglia c'è un modo particolare di cucinarli, pur restando attinenti alle tradizioni. Così può capitare che il piatto di pizzoccheri, anziché contenere la verza e le patate, viene preparato con i fagiolini e le patate, o con le coste e le patate...
Purtroppo, per un certo periodo di tempo, c'è stata una drastica riduzione delle superfici coltivate con grano saraceno, principalmente per la modifica delle abitudini alimentari nonché per la scarsa redditività di tale coltura tradizionale, praticata interamente a mano e su piccoli appezzamenti di terreno, quindi senza l'aiuto della tecnologia che sveltisse certe fasi della lavorazione.
Fortunatamente un presidio slow food tutela il rilancio di questo importante poligonaceo, che non è proprio un cereale, ma ha lo stesso potere nutrizionale, dal momento che è alla base della preparazione dei tipici piatti della tradizione.

Si fanno diverse ipotesi circa la provenienza di questa pianta: le più accreditate sono che i Turchi avrebbero introdotto la pianta in Grecia e nella penisola balcanica. Da questa ipotesi deriverebbe il nome di Grano saraceno, cioè grano dei turchi o saraceni.
La seconda ipotesi sostiene che la diffusione sia avvenuta attraverso l’Asia e l’Europa del Nord
ad opera delle migrazioni dei popoli mongoli che dalla Russia meridionale portarono il grano fino alla Polonia e alla Germania, da dove si sarebbe diffuso nel resto d’Europa.

Il grano saraceno, nel Medioevo, divenne il sostentamento principale per le popolazioni della regione alpina, durante i lunghi e freddi inverni e i periodi di carestia.
Fino al 1800 venen coltivato anche tra i filari di vite alternandolo con orzo, segale e avena: una rotazione indispensabile per tenere sempre fertile il terreno, in un territorio occupato da borghi e castelli che facevano parte del sistema difensivo medievale.



Il grano saraceno, privo di glutine, è una specie di pianta a fiore appartenente alla famiglia delle Polygonaceae. Il nome forse deriva dalla forma del frutto che è un chicco semibruno triangolare. Il fiore è una campanula di 5 petali disposti a stella. È una pianta erbacea, annuale: il suo ciclo biologico si compie in 80-120 giorni. Raggiunge un’altezza che varia, a seconda delle varietà, dai 60 ai 120 centimetri.
L'esito della raccolta è molto incerto. Tutto dipende dalle condizioni climatiche caratterizzate dalla pioggia, il freddo, la neve e la nebbia.
E il tutto avviene con un rituale ben preciso: la semina avviene a spaglio: sul terreno non arato vengono gettati i semi a piccole manciate e poi si attende che questi crescano pian piano. La pianta è pronta per essere raccolta quando il campo si trasforma in un mare di fiorellini bianchi che ondeggiano al vento.

Quando si andava a passeggiare fino a San Rocco per fare la merenda, a base di salumi e pane di segale, si costeggiavano questi campi di minuscoli fiorellini bianchi, e mentre negli altri prati o nei campi di pannocchie noi bambini ci rincorrevamo, nessuno di noi si azzardava a mettere un solo piede dentro il prato. Capivamo che era troppo importante quello che stava crescendo...

La mietitura viene effettuata con la falce messoria, quindi si dispongono i fasci tagliati in covoni che si lasciano essiccare per 4 o 5 giorni finché i semi si separano. Poi avviene la battitura eseguita in coppia: a due a due, con due lunghi bastoni tenuti insieme da un nastro di cuoio (quello che si impugna più lungo e leggero, quello che si rotea più corto e pesante), si percuotono le piante per separare la paglia dai semi. Alla fine rimangono i chicchi di grano che si passano nel vaglio, un grande setaccio di vimini fatto per separare il grano dallo scarto di lavorazione più piccolo. Se le estensioni del terreno coltivate sono piu vast, si usa la mietitrebbia, che porta i chicchi nel ventilabro (o mulinel) che separa con un sistema di ventilazione il grano saraceno dai sassolini e dagli scarti leggeri, come la paglia e l'erba secca.

La mietitura era uno spettacolo per noi villeggianti venuti dalla città. Seguivamo da lontano ogni fase del raccolto e guardavamo con curiosità i contadini, con un fazzoletto in testa e uno sul naso per non respirare la polvere che si alzava durante la battitura. E quando mangiavamo la polenta, i pizzoccheri o il pane di segale lo facevamo in una maniera più "sentita" perchè avevamo visto quanta fatica e amore mettevano i contadini nel loro lavoro.
I semi vengono poi sistemati nei "pelorsc" di canapa (dei grossi teli) per due mesi nelle soffitte ventilate delle vecchie case.
La lavorazione di macina avviene ancora in qualche mulino in pietra ad acqua. I semi scuri si trasformano in farina integrale: il furmentun o farina negra, preziosa per il piatto principe tipico della cucina locale.



Come si può notare, la cura e la lavorazione di questo preziosissimo "cereale" non è priva di rischi e di insuccessi. Il lavoro che è alla base di tutta la linea produttiva è molto minuzioso.

C'era una simpatica vecchina che gestiva il forno del paese. Il locale era grezzo, ricavato dalla roccia: le pareti non erano lisce e sembrava di entrare nel cuore della montagna. C'era un grande forno che ti accoglieva appena entravi. Era tutto avvolto dalla penombra, e sul soffitto, con le travi a vista, erano appesi dei lunghi bastoni con infilzate le "ruote" di pan di segale lasciate lì a seccare.Quando le nostre mamme ci mandavano al mulino dall'Angelina, dovevamo dire quante "ruote" di pan di segale volevamo, e se fresco o secco. Quello secco lo mangiavamo nella minestra. E poi chiedevamo anche la ciambella dolce, una morbidissima ciambella cosparsa di zucchero semolato che ti sporcava il naso quando la mangiavi, perché non riuscivi a trattenerti da quanto era buona. Il profumo che c'era in quel forno non si può dimenticare. E nemmeno i racconti dell'Angelina che affascinavano noi bambini.

E' ammirevole che si sia deciso di riportare in auge nuovamente questo dono prezioso della natura. Per questo alcune persone hanno fondato l'Accademia del Pizzocchero di Teglio che garantisce e tutela nella sua unicità ed originalità questo piatto, così come sono tutelate le altre specialità dagli chef incaricati dall'Associazione Cuochi di Valtellina e Valchiavenna.
Da settembre, i ristoranti soci dell' Accademia propongono week end con menu a tema, differenziati per stagionalità. E sono sempre più numerose le persone che aderiscono a questa iniziativa.

Ogni anno, in estate, andavamo tutti su in pineta alla Festa dei Pizzoccheri. Si saliva sempre presto, per occupare i tavoloni di legno che venivano presi d'assalto da tutti coloro che arrivavano anche dalla valle. C'era il coro di montagna: i cantori erano vestiti con i costumi tradizionali ed era emozionante sentirli cantare! Facevamo delle immense mangiate di pizzoccheri e di sciatt - le frittelle di pastella con dentro cubetti di formaggio e cicorino tagliato sottilissimo - di pane di segale e di ciambelle dolci. Che giornate indimenticabili.
Ma non mangiavamo i pizzoccheri solo in occasione della festa: la mamma e la nonna iniziavano a metà mattinata a prepararli anche in molte altre occasioni. E ne preparavano davvero tanti, perché si condivideva questo momento con i nostri amici o parenti.
Allora guardavo quando mescolavano la farina bianca e quella nera, le versavano poi sul tavolo e facevano una fontana nel mezzo. Ci aggiungevano l'acqua e cominciavano ad impastare. Per me era magia vedere quell'insieme informe trasformarsi in una palla che veniva poi tirata con un grande mattarello in una sfoglia non troppo sottile, che veniva tagliata in lunghe strisce messe una sopra l'altra. Poi con una velocità che mi sembrava pericolosa per le mani, tagliavano le strisce in tante fettine larghe un dito.


Nel frattempo in un pentolone afcevano bollire l'acqua con dentro le foglie di verza e le patate. Buttavano la pasta e la lasciavano cuocere.

La mamma poi li scolava poco per volta, mentre la nonna aggiungeva una manciata di formaggio a cubetti, grana grattugiato e un po' di burro fuso nel quale erano stati fatti dorare gli spicchi di aglio.

E così via fino ad esaurire tutti gli ingredienti

E poi tutti a tavola!

Questo modo di cucinare i pizzoccheri è rimasto invariato nel tempo: è una tradizione che si tramanda con orgoglio per tutelare un prodotto che è stato alla base dell'alimentazione delle popolazioni montane, nei tempi in cui non c'era tutta l'opulenza e la varietà dei giorni nostri, e che ora si è fortunatamente riscoperto. Questa è cucina "povera" solo di nome, perché è ricca di tanti valori che non si perderanno strada facendo, fino a quando ci saranno persone orgogliose delle proprie origini.


L'informazione agroalimentare: ci siamo anche noi

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Cucinare, fotografare, scrivere in italiano corretto, conoscere le materie prime, divulgare il concetto di qualità; in breve dunque: comunicare il cibo. Questo è l'obiettivo principale che ogni food blogger, per come noi lo vediamo, dovrebbe avere. Sabato 9 Maggio ci siamo trovati a parlarne in un contesto prestigioso: il convegno formativo "L'informazione agroalimentare" organizzato dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti in occasione del festival Genius Loci. Il nostro intervento era intitolato, non a caso, “La comunicazione spontanea del cibo”: ecco il punto, dunque. La spontaneità, la passione e la curiosità: sono questi gli elementi che ci spingono a parlare di cibo e ad approfondire ogni giorno le nostre conoscenze.



Essere i “cantastorie” del cibo non è però un motivo per essere approssimativi, superficiali o impreparati: è per questo che l'AIFB sta puntando fortemente sulla formazione, poiché crediamo che il nostro mezzo (un blog, ovvero un diario pubblico) presupponga l'assunzione di una certa dose di responsabilità, essendo rivolto potenzialmente ad un pubblico illimitato. La formazione può essere organizzata nei modi più differenti, così come abbiamo cercato di fare fin dall'inizio: i corsi di fotografia e video con fotografi e videomaker professionisti; i mini-corsi online con esperti del settore per approfondire argomenti come il miele o la pesca sostenibile; i numerosi blogtour, durante i quali siamo entrati in contatto con piccole realtà, tradizioni a rischio di scomparire, materie prime eccezionali, produttori appassionati, chef di grande livello, territori e personaggi ricchi di cose da dire ma muti e sconosciuti. È a loro che vogliamo dar voce, perché solo chi si sporca le mani possiede la conoscenza e riesce a trasmetterla a chi sa ascoltare. Ma fra l'ascoltare ed il comunicare c'è un mondo fatto di approfondimento e corretto uso dei mezzi di comunicazione.



E dunque chi siamo noi food blogger? Cuciniamo ma non siamo cuochi; scattiamo foto ma non siamo fotografi; scriviamo ma non siamo giornalisti. Eppure ci siamo, e dedichiamo molto tempo a questa passione: noi di AIFB pensiamo che sia possibile, con impegno e studio, acquisire un ruolo che adesso è ancora abbozzato ma che potrebbe essere utile per far arrivare una voce positiva anche ai non addetti ai lavori. Sì perché, come osservava correttamente Claudio Mollo, giornalista e fotografo fra i relatori del convegno, ovunque si parla di cibo a sfinimento: in televisione, sui giornali, durante gli eventi... Eppure è come se non se ne parlasse affatto poiché, osserva sempre Mollo, i carrelli della spesa vengono riempiti in maniera scriteriata. Di fretta. Sciattamente. Senza conoscenza. Senza passione. Eppure il cibo è piacere, oltre che sostentamento. E dunque la nostra ambizione di food blogger che vogliono essere presenti sul territorio e, perché no, fra la gente in cerca di ricette online, è anche quella di dare un contributo per portare un po' di qualità in più - e magari quantità in meno - nelle case della gente comune. In rete c'è di tutto, infatti: la rete è libera, per fortuna. E c'è spazio per tutti. Ma vorremmo fare la nostra parte affinché un mezzo tanto potente sia usato per andare in una direzione positiva: una comunicazione giusta ed utile.
La reazione a dir poco benevola di una platea di giornalisti come quella di sabato scorso, di fronte a questa nostra presentazione, è un ulteriore sprone per continuare su questa strada. C'è stata sorpresa e ammirazione nell'apprendere le finalità di AIFB e il grande impegno formativo, e ci son state anche le attese domande piccanti sul tanto vituperato rapporto dei food blogger con le aziende. I giornalisti devono infatti rispondere ad una precisa deontologia: noi, invece, no. O almeno non per legge, al momento, ma per scelta possiamo e dobbiamo farlo. Tenere fede ai nostri obiettivi, restare indipendenti e puntare all'onestà intellettuale sono le regole che devono indicarci la giusta direzione.



Nel pomeriggio si è tenuta poi la premiazione del contest "La macchia nel piatto": erano presenti, oltre ad una rappresentanza del Comune di Castagneto Carducci, anche alcuni membri della giuria: Claudio Mollo e lo chef Luciano Zazzeri che hanno commentato, insieme ai finalisti ed ai soci presenti, le ricette presentate e le tre finaliste in particolare. Ha vinto Maria Greco Naccarato con la sua ricetta de "il coniglio nella macchia": a lei vanno i complimenti del direttivo, e un grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato, nonché alla socia Cristina Galliti che ha lavorato per portare AIFB a Genius Loci.

Blogtour nella Sila: conosciamo la Calabria!

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Grazie al prezioso impegno della nostra socia Anna Laura Mattesini, quattro soci AIFB parteciperanno al bellissimo blogtour organizzato nell’ambito dell’evento “Le fattorie aperte in Sila” che si terrà dal 22 al 25 giugno. Si partirà tutti insieme in aereo da Roma per raggiungere Crotone. Per i nostri soci sarà un’occasione unica per conoscere i paesaggi maestosi degli altipiani della Sila ascoltando il silenzio che circonda i suoi laghi, sentendo il vento che lentamente sale dal mare e seguendo il profumo dei fiori nei pascoli di giugno. Sarà anche un’opportunità per incontrare i produttori del caciocavallo silano, svegliarsi presto la mattina per la mungitura e la lavorazione del latte e la filatura della mozzarella, ma anche sedersi intorno a un tavolo per parlare con un apicoltore e imparare a fare i turdilli (i dolcetti tradizionali natalizi), i cullurielli (le fritelline di patate), la pasta al ferretto e molto altro ancora. I quattro soci non incontreranno soltanto la gastronomia di questa regione ricca, antica e spesso nascosta ma conosceranno la sua storia, le sue tradizioni, l’ospitalità delle persone e la nobiltà delle loro anime. Perché la Calabria è la terra dei calabresi e per comprenderla bisogna avvicinarsi a loro, dar loro la mano e fidarsi.
Tutte le informazioni sono state inviate via email; in alternativa, come sempre potete trovarle nell'area riservata "comunicazioni ai soci".

L'Umbria e il Sagrantino, il vino dei sacramenti

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di Eleonora Dellavedova

Tra le colline coperte di verde, tra i viottoli che si arrampicano tra le vigne, c’è un percorso che si chiama "La strada del Sagrantino".

Il Sagrantino è un vino di produzione Umbra.
Antichissime le origini di questo rosso di gran carattere. Nella zona di Montefalco ne scrive già Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia parlando dell’uva Itriola coltivata nella zona di Mevania.


Bevagna, Montefalco, Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria: è la zona in provincia di Perugia che vede spandersi a vista d’occhio filari di viti di un'uva rossa con acini rotondi.
Due fondamentali correnti ne collocano la sua comparsa ufficiale nella zona.
La prima lega l’inizio della sua produzione ai seguaci del Poverello d’Assisi di ritorno dall’Asia attorno al XIV o XY sec., che lo coltivarono appunto per utilizzarlo nei sacramenti. Un vino dolce, passito, usato per le funzioni religiose nel periodo da Natale a Pasqua.



In contrapposizione un’altra corrente di pensiero lo fa arrivare nella zona dalla Spagna, si pensa per opera dei Saraceni.
Un fatto è che il vitigno è unico. Non ne esiste uno simile in tutta la penisola e pertanto può considerarsi di origine locale (Commissione per lo studio ampelografico dei principali vitigni ad uve da vino coltivati in Italia – Mi.p.A.F), risolvendo definitivamente l’affermazione che sia simile alla Passerina coltivata nel centro Italia.



Da qui sino ai giorni nostri, quando si parla di Montefalco Sagrantino o Sagrantino di Montefalco, si unisce anche la zona di produzione al nome decisamente importante.

Un censimento delle vigne entro le mura di Montefalco ha stabilito che alcune di queste risalivano addirittura a periodi compresi tra 1700 ed il 1800. Nel tempo si è persa la sua produzione fino agli inizi degli anni '60, quando un gruppo di lungimiranti produttori ne ha ripreso la produzione ottenendo nel 1979 la DOC e nel 1992 il riconoscimento della DOCG.



Diverse le aziende che lo producono, ma una in particolare ha destato la mia attenzione.

La Tenuta Bellafontedi Bevagna è qualcosa di più che una semplice azienda agricola. Da una posizione con vista mozzafiato, venti ettari di terra argillosa dove si susseguono filari di viti di circa tredici anni, allineati come le righe su un quaderno, più un bosco e una parte destinata ad uliveto.
Il vigneto è coltivato naturalmente, evitando l’ausilio dei prodotti chimici, e concimato con materiali organici provenienti da stalle selezionate.
Il terreno viene diserbato con l’ausilio di macchinari per evitare di utilizzare prodotti chimici.




Un proprietario che ci accoglie nella sua azienda con l’orgoglio ed una passione che si respira in ogni sua parola.
Peter Heilbron, dopo anni di lavoro ai vertici di multinazionali dell’industria alimentare, decide di cambiare completamente vita, di tornare ad un "vecchio amore": l’agricoltura.
Agronomo, innamorato dell’Umbria ed affascinato dalla produzione vinicola regionale, si lancia in un’impresa coraggiosa (soprattutto di questi tempi!): produrre vino.
Non un vino qualsiasi: il Sagrantino.
Decide che la qualità della sua produzione deve essere il suo obiettivo, ed una coltivazione che rispetti il territorio e la natura diventa il suo Credo.



Ricostruisce quindi la proprietà e la cantina seguendo canoni di ecosostenibilità, sia dal punto di vista energetico (la tenuta dispone di un impianto fotovoltaico e di una caldaia a biomassa che utilizza anche gli scarti delle potature) sia dal punto di vista della produzione.
La cantina è stata progettata per non dover utilizzare alcun sistema di raffreddamento artificiale ma, utilizzando un metodo noto già ai romani per tener fresche le loro ville, fa delineare il perimetro della cantina non da cemento armato ma da gabbie di metallo contenenti pietre. Canali di areazione inseriti tra le pietre e camini di aspirazione inseriti nel soffitto della cantina, portano ad avere una circolazione dell’aria e un raffrescamento del tutto naturali.
Nella cantina c’è un microclima perfetto. Nessun odore di muffa, nessun sentore di stantio.
Ci racconta che, dopo la raccolta dell’uva (effettuata manualmente, senza ausilio di macchine) la selezione viene effettuata a mano ("da me personalmente" - cit.). Solo i grappoli migliori vengono utilizzati.
Una macchina separa delicatamente i graspi dagli acini che, contrariamente ad altri produttori, lui utilizza interi e non spremuti, poiché le bucce di queste uve contengono tanti tannini che potrebbero rendere troppo deciso il sapore del vino, spremendole.

Quindi gli acini interi vengono inseriti nei tini di fermentazione in acciaio inox, senza aggiunta di lieviti in quanto, sulle bucce, sono presenti lieviti naturali sufficienti per la fermentazione.
La parte superiore degli acini crea un cappello sulla superficie dei tini, ma la massa viene continuamente mantenuta umida dal travaso dei liquidi che inizialmente si depositano sul fondo.
Dopo 10/15 giorni di fermentazione in tini (che possiedono una cintura di raffreddamento per quando la temperatura si alza), la parte solida si dispone sul fondo e la parte liquida rimane in altro.
Il vino viene poi travasato in botti di rovere a fine novembre, dove rimane fino a maturazione completa (36 mesi).



Tre anni di continui controlli, dove il vino viene travasato attentamente per togliere le impurità ed evitare un processo di filtrazione che rovinerebbe l’armonia degli elementi. Imbottigliato, riposa accanto alle botti per un altro anno fino alla vendita.
Peter Heilbron ci accompagna in questo percorso portandoci per mano, facendoci assaggiare il frutto del suo lavoro e dalla sua passione.
Un vino profumato, di un colore rosso scuro, quasi sangue. Un profumo di frutti di bosco, di fiori. Un lieve sentore di liquirizia che resta in bocca a ricordare il riposo in botti di legno buono.
Poi ci racconta anche una nuova avventura. Un bianco, il Trebbiano Umbro, che sta sperimentando prima di avviarne la produzione. Ce lo fa assaggiare e mi conquista subito.
Io che amo i rossi, perché hanno carattere a differenza dei bianchi che mi lasciano indifferente, ne apprezzo la personalità. Mi spiega che è rimasto a riposare in botti barricate da Barolo. Ed il carattere quindi si spiega.
È raggiante il nostro ospite, con il calice del suo vino tra le mani mentre ci racconta una storia, una passione, una voglia di costruire che non è facile trovare nei produttori del giorno d’oggi. In un’epoca dove la qualità viene spesso sacrificata sull’altare della resa, questo imprenditore ha deciso di stare dalla parte del prodotto, e ne ha ricavato un’eccellenza che si apprezza al primo sorso.



Lasciamo questa azienda e il suo proprietario con la consapevolezza che, per fortuna, le produzioni di qualità esistono ancora e quando sono portate avanti con la competenza e l’amore per il territorio, ne guadagna il prodotto ed il prestigio di tutta la produzione locale.
Far conoscere queste eccellenze sia in prodotto sia in realizzazione è uno spunto per aiutarci a capire che spesso, dietro un etichetta che vale, c’è il rispetto del prodotto e di chi lo consuma.


Il Sagrantino della Tenuta Bellafonte ha ottenuto tre bicchieri Gambero Rosso e altri riconoscimenti che gratificano il lavoro e l’impegno di chi nella produzione ci mette il cuore… e si sente già dal primo sorso!


Food Trotter: l'Antico Molino Santa Chiara

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Storia di una famiglia di mugnai e dell'amore per il proprio territorio

Coinvolta da AIFB e dalla sua rubrica "Food Trotter", mi ritrovo con immenso piacere a scrivere di una storia antica, di un'arte nata tantissimi anni fa che rischia di perdersi con l'epoca moderna. La storia narra di un mulino, di una famiglia di mugnai, dell'arte molitoria e dell'amore per il proprio territorio.



Da piccola rimanevo affascinata dai racconti di mio nonno, un uomo che aveva fatto la seconda Guerra Mondiale e che aveva vissuto, come molti dell'epoca, tra sofferenze, stenti e tante difficoltà. Il racconto dell'Antico Molino Santa Chiara ha lo stesso fascino per me, descritto con date e avvenimenti dalla Sig.ra Marisa, figlia di Luigi Agostini detto "lu melenare" (il mugnaio) che sin da piccolo fu avviato a questo mestiere e che, come mio nonno, fu chiamato a combattere nello stesso conflitto.
Luigi nacque nel 1911 ad Ascoli Piceno, a Villa Pagani: figlio di contadini, perse la mamma da piccolo e suo papà crebbe lui e i fratelli con le difficoltà del tempo. A soli sei anni Luigi fu mandato ad imparare l'arte del mugnaio, così come era consuetudine in quel periodo, quando i mestieri si apprendevano sin da piccoli, a contatto con chi li praticava da anni . Lo mandarono in un quartiere di Ascoli chiamato Porta Cappuccina, dove c'era un mulino che macinava a pietra. Il bimbo tutti i giorni faceva avanti e indietro per un piccolo sentiero di circa cinque chilometri, e prestava il suo aiuto in cambio dell'insegnamento dell'arte molitoria tutti i giorni per quasi quattro anni, finché gli fu finalmente permesso di pernottare a casa dei titolari del mulino e di evitare di fare lo stesso tragitto tutti i giorni. Rimase ad imparare il mestiere fino a quando aveva circa quindici anni. Più tardi fu chiamato al servizio militare e, al suo ritorno, prese in affitto un mulino a Poggio Canoso di Rotella dove poté cominciare a praticare il mestiere di mugnaio. Lì conobbe la ragazza che poi diventò sua moglie, Luigia Tosti, una giovane  di sedici anni figlia di una famiglia di artigiani. Dal loro primo incontro al matrimonio il passo fu breve: si sposarono che Luigia non aveva ancora compiuto 17 anni nell'aprile del 1940, e poiché si cominciava già a percepire che l'Italia sarebbe entrata in guerra da lì a poco, decisero di restare a casa della famiglia di lei. Allo scoppio del conflitto, Luigi partì per il fronte da cui tornò solo nell'ottobre del 1944, riprendendo la sua vecchia attività: a fianco della moglie, macinava farine per la produzione di alimenti e foraggio per gli animali.



Più tardi negli anni riuscirono ad acquistare un mulino ad acqua: "Mulino di Mezzo" si chiamava, proprio perché situato al centro di altri due mulini posizionati sul fiume Chiaro. Il tempo passava, arrivarono due figlie, Marisa e Teresa e fu anche per questo che Luigi decise di emigrare in Belgio, nelle miniere, per migliorare le condizioni di vita della sua nuova famiglia. Così avvenne; al ritorno dal Beglio, si trasferì con moglie e figlie in una casa in centro, nell'allora “borgo chiaro”, vicino al mulino che poi avrebbe acquistato, nel 1953: finalmente i sacrifici di una vita, l'amore per il territorio e la sua grande passione per l'arte molitoria lo portano a realizzare il suo sogno: una casa, una famiglia e un mulino. Lui e sua moglie continuarono a lavorare nel mulino di Santa Chiara fino al 1973, anno in cui Luigi decise che era giunta l'ora di cedere il mulino in affitto. Furono diversi gli affittuari, l'attività passo per anni di mano in mano, anche sua figlia Marisa lo prese in gestione dal 1986 al 1993, e sempre passando per diverse gestioni arriva ai nostri giorni con un inesorabile declino dovuto soprattutto all'avvento delle industrie. Nell'estate del 2012, con un idea "stramba" e a detta di molti "avventata", il mulino viene rimesso in vita dal nipote di Luigi: Amedeo Castelli, figlio di Teresa Agostini e Renato Castelli. Pur facendo l'operaio, era cresciuto con il brusio costante delle macine nella casa del mulino, e col passare del tempo aveva tenuto custodita in fondo ad un cassetto l'idea di intraprendere il lavoro di nonno Luigi. Grazie all'aiuto di molti a lui vicini, alla sua terribile testardaggine, al coraggio e all'amore per le sue radici, Amedeo decide di investire tutti i suoi risparmi in quella che sembrava una follia: restaurare il vecchio mulino per produrre farine macinate a pietra , buone e sane come quelle di un tempo.


Egli impiega tempo, fatica e denaro in un attività rischiosa dove tutto era circondato da incertezza. La sua tenacia gli permette di avere la meglio su tutto e tutti, e finalmente nel novembre del 2012 "l'Antico Molino Santa Chiara" torna a nuova vita. Oggi il mulino produce farine prive di raffinazione industriale, farine di grano tenero, semola di grano duro, farine di ceci, farro, mais, miglio e grano saraceno. Fino a qualche mese fa la produzione era rigorosamente manuale: si setacciava a mano come un tempo. Attualmente per la produzione principale di farina di grano tenero Amedeo è ricorso all'aiuto di una macchina setacciatrice, ma per il resto tutto viene fatto come una volta.


I grani che potete trovare al mulino sono rigorosamente biologici e reperiti da produttori a km 0, ed è lo stesso Amedeo che si accerta della bontà dei vari grani che decide poi di macinare e vendere. Io conosco "lu melenare" ormai da anni, siamo amici di vecchia data, ed è così che quando ha bisogno di una mano anche io lavoro con lui al mulino per qualche ora alla settimana. Sono sincera nel dire che lavorare al mulino è assolutamente un mestiere che riempie il cuore di gioia: forse per una food blogger stare a contatto con la farina è come stare "a casa", ma aiutare a tenere in vita un' arte antica che altrimenti andrebbe dimenticata mi onora e mi gratifica oltre ad avermi permesso di apprendere la diversità delle varie farine e del loro impiego. Proprio in questi mesi è "scoppiata" la bolla del “pericolo” delle farine raffinate "0" e "00"; senza entrare nei particolari della veridicità o meno che una farina raffinata possa a lungo creare problemi di salute, posso invece asserire con assoluta padronanza e certezza che la farina dell'Antico Molino Santa Chiara sia una farina "speciale". Per me usare queste farine è diventata ormai la prassi, e solo chi le conosce sa che il profumo e l'aroma dei dolci e del pane che ne derivano sono una cosa indescrivibile: sono sapori persi nel tempo e ritrovati grazie all'aiuto di un mugnaio "testardo, ostinato e volenteroso" che ha permesso al vecchio mulino di tornare a macinare come tanti e tanti anni fa.



Sono diverse le varietà di grano macinati al mulino. C'è il grano "solina", un particolare grano coltivato in alcuni comuni montani abruzzesi: è un grano antico dal colore chiaro e dal profumo di montagna. Il grano "Senatore Cappelli", un frumento duro considerato già dai primi del '900 "razza eletta" e usato sin da subito per la produzione di pasta per l'alta resistenza alla cottura. Inoltre c'è la farina di farro, più digeribile della classica farina di grano tenero e largamente usata per la produzione di dolci, pane e pasta. L'antico molino produce anche farina di ceci, di miglio e di grano saraceno oltre alla classica farina di mais. Ultimamente, il mulino ha ampliato la gamma di prodotti da offrire alla clientela inserendo merce di qualità e di nicchia, come malti per la produzione di birre e marmellate biologiche.
Ringrazio la Sig.ra Marisa Agostini, figlia di Luigi, che con estrema disponibilità e gentilezza ha speso il suo tempo per questo racconto, oltre all'attuale titolare Amedeo Castelli che ha reso possibile la realizzazione dell'articolo.



Cantine Fonterutoli: blogtour in Chianti Classico

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Cari Soci, con il mese di giugno arrivano nuove interessanti iniziative che vi sottoponiamo con la speranza di vedervi attivi e presenti. La prima è uno splendido blog tour in Chianti Classico promosso dalle Cantine Mazzei - Castello di Fonterutoli, il 26/27 giugno prossimi.
Le cantine Mazzei producono vino dal 1435 e rappresentano, insieme ad altri grandi nomi del vino toscano come Antinori, Frescobaldi, Ricasoli, la storia dell'enologia di eccellenza.
Un blog tour che vi porterà a conoscere il grande passato ed il  luminoso presente di una azienda di famiglia in uno dei territorio più belli d'Italia e del mondo.
Il programma dettagliato è disponibile nell'area COMUNICAZIONI AI SOCI, ed è appena stato inviato a tutti via email.
Durante la cooking class è prevista la realizzazione di piatti della tradizione insieme allo chef della tenuta: aspettiamo le vostre candidature all'indirizzo partecipo@aifb.it in base ai criteri esposti nell'area riservata.
Ringraziamo la socia Elena Policella per aver fatto da tramite con l'azienda ed aver permesso la realizzazione di questo blogtour.

Alla scoperta delle fragole "sostenibili"

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Per la rubrica "Food Trotter" del giovedì parliamo di fragole: di sostenibilità, di stagionalità e di piccoli imprenditori coraggiosi e appassionati.

Articolo di Stefania Pigoni 

Ho conosciuto Benedetta quasi per caso perché non sapevo che vicino a casa mia, Massa Carrara in Toscana, ci fosse una serra di fragole che usasse le tecniche più moderne per ottenere dei prodotti sani e biologici nel rispetto dell’ambiente e di ogni forma di vita.
Carrarese doc, Benedetta vende le fragole a km-0 ad Ameglia, coltivandole in modo assolutamente naturale.




Dopo la nascita della sua secondogenita e con l’inizio della crisi, accanto alle preoccupazioni per il futuro dei suoi figli, ha iniziato ad avvertire il bisogno di un cambiamento che la portasse a fare qualcosa di completamente suo, di cui essere orgogliosa. Prende così un vecchio terreno di proprietà dei suoceri, lo sistema, si fa aiutare da un agronomo e da un ispettore agrario, studia e s’informa su tutto quello che può riguardare le sue fragole, investe i suoi risparmi e inizia l’avventura.
A dispetto di una burocrazia lenta e indifferente e di una normativa assai poco chiara, il suo sogno a poco a poco prende vita in una  piccola azienda agricola: “Verde Baroncelli”, conosciuta localmente come “le Fragole di Benedetta”.



La sua scelta è caduta da subito su un prodotto di origine francese, sia perché ancora non diffuso nel territorio,sia perché di qualità superiore: le fragole sono tutte l'una diversa dall'altra, per calibro, sapore, profumo e colore: rosso porpora la Monterrey, rosso arancio la Annabelle, rosso brillante la Cijosee, la Charlotte e la Mara des Bois che ha un profumo intenso di fragolina di bosco. Assaggiarle è una vera avventura nel mondo dei sapori che variano a seconda degli incroci naturali (la Mara des Bois, per esempio, è “cugina” delle fragole di bosco) o dall'esposizione al sole,che determina una diversa concentrazione degli zuccheri.
Le tecniche di coltivazione sono organiche, nel pieno rispetto del prodotto e dell'ambiente circostante.



La novità di quest’anno è la coltivazione in serre “fuori suolo” o idroponiche, nelle quali le sostante nutritive per il frutto vengono fornite da fibre di cocco e perlite. La difesa dai parassiti è affidata ad insetti “buoni”, mentre l'impollinazione è a carico dei bombi , allevati in un'arnia nei pressi della struttura.



La comunità locale ha accolto Benedetta con calore e, grazie ad un proficuo passa parola, oggi lei può contare su una rete di clienti - pasticcerie, catering, gelaterie e, ovviamente, i privati - tutti desiderosi di una qualità che il suo prodotto soddisfa pienamente: ma la soddisfazione più grande, per lei, è poter scambiare pareri con gli estimatori del suo prodotto, che spesso disquisiscono di colori e sapori, esprimendo le loro preferenze.



Ho chiesto a Benedetta come vede il suo futuro tra cinque anni e lei mi ha risposto così: “spero tra cinque anni di "conquistare il mondo" o meglio spero che la politica del genuino e del km-0 conquisti davvero tutti. Spero si capisca quanto sia importante il prodotto “stagionale” e che non sia possibile averlo tutto l’anno in modo naturale".



Questo è importante, per permettere a noi e soprattutto ai nostri figli, di crescere in modo sano e naturale: comprendere che, indipendentemente dal tipo di coltivazione che si decida di intraprendere, è fondamentale utilizzare metodi semplici e naturali, i soli capaci di valorizzare il prodotto nella sua integrità e nelle sue proprietà... proprio come le fragole di Benedetta.


Blog tour nel Cilento

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Cari soci,
le iniziative di questo mese si arricchiscono con un bellissimo blog tour in Cilento che si terrà tra pochissimi giorni, precisamente il 22 e 23 Giugno*.
Andremo alla scoperta di questo bellissimo territorio, culla della dieta del Cilento da cui nasce la dieta mediterranea. Qui la pagina facebook che vi consigliamo di seguire.

 
Partiremo da Vallo della Lucania per visitare la pizzeria"da Zero" che si contraddistingue per l'uso di prodotti a km 0.
Quindi ci sposteremo presso il caseificio "le Starze" che produce la mozzarella con la mortella.
Presso l'agriturismo "i Moresani" a Casal Velino avremo modo di fare una passeggiata a cavallo.
Il giorno successivo ci attende un trekking con raccolta delle fragoline selvatiche del Cilento e quindi un giro in barca a vela partendo da Marina di Camerota per apprezzare le bellezze del territorio anche da mare e per degustare le specialità locali a bordo.
Il programma dettagliato è disponibile nell'area COMUNICAZIONI AI SOCI, ed è appena stato inviato a tutti via email.
Aspettiamo le vostre candidature all'indirizzo partecipo@aifb.it in base ai criteri esposti nell'area riservata.
Ringraziamo la socia Ornella Buzzone per aver fatto da tramite con Marco di Marco, rappresentante della Dieta del Cilento, per la realizzazione di questo blog tour.

*il programma è in via di definizione ed aggiornamento e potrebbe essere allungato di un giorno. Comunicheremo le novità appena possibile.

I "finti mieli" del rifugio Griera

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di Marzia Riva

Al cospetto della cima del Monte Legnone, nelle Alpi Orobie, a 1725 metri di altitudine, si trova il rifugio Griera, davanti al quale si apre un panorama mozzafiato che spazia dalle alte cime lungo la vallata, fino al Lago di Como. 

 

Nonostante la semplicità della costruzione e le sue ridotte dimensioni, il rifugio ha un che di maestoso: si staglia fiero su un pianoro verde, che si apre subito fuori dai boschi: un'aura quasi magica lo avvolge al mattino, quando è toccato dai raggi del sole o è avvolto dalle nubi, nei giorni di tempesta. D'inverno, la neve lo copre, con la sua coltre, quasi a volerlo nascondere; d'estate, è mèta prediletta di marmotte, lepri, camosci e altri animali di montagna che vi si avvicinano, con cautela e rispetto.



Io, Alessandro e Piccolo Chef lo abbiamo raggiunto una mattina di agosto di quasi un anno fa, dopo aver percorso la via Cadorna in circa 3 ore di cammino. Il percorso è semplice, la salita costante, ed è praticabile da tutti su una strada militare composta da numerosi tornanti. La base di partenza è il comune di Pagnona, situato nell’Alta Valassina. Esiste anche un sentiero, che parte sempre da Pagnona, forse più veloce ma sicuramente più impervio.
Ad attenderci, il sorriso e la gioviale allegria di Serena Sironi, con la quale avevo preso contatto attraverso l'Associazione Alta Valsassina, illustrandole il progetto Food Blogger, ottenendo un riscontro immediato che ha preso forme concrete, nell'attimo stesso in cui ci siamo incontrate: la cifra dell'ospitalità del rifugio è subito all'ingresso, nella vetrina ricolma dei dolci preparati ogni mattina e nella bacheca che espone i prodotti del territorio, e prosegue nelle parole di Serena, che ci racconta la sua storia: è un architetto che ama la montagna al punto tale da decidere di inventarsi una nuova professione, attraverso la gestione dei rifugi:anziché uscire stremata dalla prima esperienza, al Rifugio Falc, alle pendici del Pizzo dei Signori, a 2120 m di altezza, che aveva comportato un impegno fuori programma, Serena si era scoperta la  determinazione e la caparbietà necessarie per adattarsi alla natura, sfruttarne le risorse in modo naturale, in una integrazione spontanea e consapevole, finendo quindi per trasformare i disagi in punti di forza.

 
In situazioni estreme, ha appreso l’arte culinaria imparando a conoscere ed usare i fiori e  le erbe spontanee, i funghi ma anche i prodotti locali - i formaggi d’alpeggio, le uova -  coi quali rapportarsi in maniera stimolante, recuperando antiche tecniche e ricette dimenticate.

 

Da questa consapevole conoscenza con l'ambiente montano è nata quindi una cucina eco compatibile, basata sullo sfruttamento dei prodotti del territorio e sulla lotta allo spreco: da qui, sono nati i suoi famosi finti mieli, i biscotti alle ortiche o all’achillea, i sottoli e i sottaceti oppure semplicemente il pane cotto quotidianamente nel forno della stufa a legna.
La gestione del rifugio Griera, iniziata qualche anno dopo,è all'insegna di questo bagaglio di esperienze e di conoscenze ed ha il suo fiore all'occhiello proprio nella cucina, capace di declinare in forme originali e appetitose i prodotti del territorio che la circonda, come abbiamo potuto verificare noi stessi, nel corso di un ottimo pranzo, al termine del quale è iniziata l'intervista.




L’arte di creare i tuoi prodotti, i finti mieli, le conserve e i biscotti, deriva da memoria storica che ti è stata trasmessa o che hai recuperato? Se sì, cosa ritieni che debba essere preservato e cosa  sarebbe bene recuperare?
Le mie “creazioni” consistono in una cucina casalinga che vuole reinterpretare, nonché riscoprire i sapori della tradizione partendo dallo sfruttamento delle risorse, all'insegna dell'invenzione che spesso mi porta, a mia insaputa, a scoprire ciò che è già stato scoperto (riscoprire appunto) e che già appartiene alla storia della cucina tradizionale, abbandonata nel tempo e a volte ricordata solo da qualche famiglia. Credo che la cosa fondamentale da recuperare e quindi da preservare sia la capacità di rapportarsi in modo naturale con il territorio, in un'atmosfera di sopravvivenza (che crea la “necessità”) e al tempo stesso di amore e apprezzamento (che determinano ”ricercatezza e inventiva”). Solo così la fatica e il lavoro necessari per vivere nell'ambiente potranno essere proficui al mantenimento di ciò che già esiste, ma che sembra essere dimenticato da un mondo troppo superficiale e frettoloso.

I tuoi prodotti sono a km 0 e/o a coltura biologica e naturale?
Trattandosi di principalmente di erbe spontanee, più che km 0, direi metri zero e quanto al resto, più biologico e naturale di così...

Come riesci a portarlo avanti?
Lo porto avanti con la passione e grazie al fatto che ormai è diventato una nota distintiva e ricercata della mia attività. Se dovessi cambiare, sarebbe come togliere le fondamenta a una casa...

Hai qualcuno che ti aiuta o porti avanti il tuo lavoro da sola?
Nell'attività di rifugista sono aiutata da diverse persone, ma per la produzione sono sola, anche se ho potuto beneficiare dell'aiuto di Manuela per un paio d'anni. Manuela si è laureata in tecniche erboristiche. Io sono stata sia la sua tirocinante, sia il suo correlatore per la tesi. Oltre ad avere una grande passione è anche stata “costretta” a collaborare per imparare, ma adesso lavora altrove.

Quali ostacoli hai incontrato e quali ancora trovi?
Gli ostacoli sono di tipo pratico. Non posso spingermi a troppa varietà (che per altro la mia inventiva ricercherebbe), né a produzioni quantitativamente importanti proprio perché faccio tutto da sola. Le variazioni climatiche di questi ultimi periodi inoltre creano un po' di disagi, ma questo vale certamente in ogni settore agricolo.


Che tipo di riscontri ricevi?
La maggior parte delle persone vengono al rifugio proprio per gustare prodotti naturali (specialmente adesso che sta facendosi strada la ricerca delle cose naturali) e per partecipare e apprendere una specie di arte che diventa tale, solo perché dimenticata da un mondo con un sistema di vita ormai completamente artificializzato.

Come ti piacerebbe che evolvesse questa attività?
Onestamente, non  ho particolare interesse a farla evolvere spingendo in direzioni particolari: mi è sufficiente portare avanti ciò che faccio,  mantenendo l'amore che ci metto e soddisfacendo il mio bisogno di crescere e di varietà, scoprendo e inventando di tanto in tanto qualcosa di nuovo.

Come distribuisci e fai conoscere i tuoi prodotti?
Nella maggior parte dei casi chi compra i miei prodotti li conosce in rifugio ed è qui che li acquista. Espandere i canali di vendita significherebbe arrivare ad una mole di lavoro insostenibile da una sola persona.

Quali sono le criticità che incontri tra la produzione e la distribuzione del prodotto?
Per il livello quantitativo di vendita ritengo di non avere particolari criticità, non potrei vendere più di quello che produco. Qualitativamente i miei acquirenti/clienti degustatori sono soddisfatti ed apprezzano.

Realizzare a mano prodotti artigianali richiede costanza, dedizione e molta preparazione. Come si sviluppano le tue giornate e nei vari periodi dell’anno?
E' tutto molto variabile, in base alla stagione, al luogo e alle esigenze del momento. Cerco di incastrare i tempi tra raccolta, utilizzo del fresco, produzione di conserve, ricerca e le altre attività (rifugio con tutte le mansioni che richiede e lavoro come architetto, anche se oramai ridotto all'osso).

Dove li realizzi? In che modo?
Le conserve vengono preparate per metà a valle, per metà al rifugio, il fresco invece è tutto raccolto ed elaborato al rifugio.

Quali sono le proprietà dei tuoi prodotti?
Non sono particolarmente interessata a conoscere le proprietà di ciò che cucino. Chiaramente tengo ben presenti eventuali controindicazioni per la salute, per il resto il mio interesse è rivolto alla ricerca del gusto e delle sensazioni che seguono di pari passo. Mi piace che i mie prodotti abbiano un buon odore, una buona consistenza e si presentino bene alla vista. In alcuni casi mi concentro anche all'effetto acustico (un pane che si spezza, la pancetta che crocca sotto i denti...). Soprattutto cerco di fare in modo che siano buoni nella testa già prima di essere assaporati attraverso l'illustrazione di ciò che si stà per mettere in bocca.




Dopo una prima chiacchierata, e appena il tempo lo ha permesso, siamo andate insieme a raccogliere le erbe spontanee che nascono nei prati intorno al rifugio e che avrebbero formato la nostra insalata particolarissima per la cena. E’ stato davvero stimolante e molto istruttivo. Abbiamo raccolto i fiori di achillea, di trifoglio,  il timo selvatico, il crescione,  l’acetosella, lo spinacino selvatico, l’eufralia e alcune varietà di funghi. Quello che per noi era un divertentissimo gioco, per lei è la consuetudine. Mentre noi guardavamo il prato smarriti, lei si muoveva quasi fosse nel suo personalissimo orto, sapendo esattamente dove avrebbe trovata questa o l’altra erba.
Rientrati in rifugio, avendo ripreso a piovere, abbiamo pulito l’achillea che le serviva per preparare il finto miele.


I finti mieli sono delle preparazioni, alla vista molto simili per colore e consistenza al miele d’api, derivate dalla macerazione in zucchero delle erbe e dei fiori.
Per realizzarli bisogna mettere in una pentola i fiori lavati e asciugati, oppure le erbe spontanee scelte, con lo zucchero e il limone e dell’acqua. Dopo averli portati a ebollizione si spegne il fuoco e si lascia macerare.



Il lavoro più duro, perché fatto a mano, è quello di spremitura dei fiori. Con il liquido ottenuto, rimescolato nuovamente allo zucchero, si procede ad una sobbollitura lenta e costante fino a quando il liquido non si restringe e si ottiene una sorta di marmellata, molto simile al miele. A questo punto, quando il finto miele è ancora bollente, si versa nei vasi sterilizzati e appena chiusi li si lascia raffreddare a testa in giù.


Serena prepara il finto miele, oltre che con i fiori di achillea, anche con il tarassaco, l’acacia, il trifoglio rosso oppure con la violetta, alla menta e altri ancora. Ciascuno è unico in quanto il raccolto è sempre diverso, nonostante la stessa varietà. Ogni sapore è inconfondibile e molto particolare con note spiccate della pianta utilizzata che lascia una nota di retrogusto persistente.
A coloro che raggiungono il suo rifugio per il pranzo, offre la degustazione dei finti mieli con formaggi d’alpeggio e della zona, oppure con la polenta che non manca mai.
I prodotti in vasetto sono in vendita solo in rifugio, il che li rende prodotti assolutamente di nicchia e legati a doppio filo con il territorio circostante.
Oltre ai finti mieli, Serena si diletta a preparare i germogli di tarassaco sottaceto, i germogli di pungitopo sottolio, il pesto di silene e diverse grappe artigianali.
Facendo una passeggiata al suo rifugio, non potrete non farvi tentare dal suo menù originale o da una fetta di torta davvero straordinaria. E salutandola, verrete presi dalla voglia di portare a casa un sacchetto di biscotti di ortica.



Li abbiamo preparati la mattina seguente, mentre ancora le nubi avvolgevano minacciose il rifugio. Il mattino ha l’oro in bocca e Serena, così come i ragazzi che l’aiutano a gestire il rifugio, si alzano presto per avviare la giornata e non farsi cogliere impreparati. In un rifugio non sai mai quando un escursionista potrebbe arrivare, e le attività iniziano fin dalle prime luci del giorno. Sul grande piano di lavoro al centro della cucina,  con ingredienti semplici e pratici gesti, Serena ha preparato questi tozzetti verdi profumando tutta la stanza. Farina di grano saraceno, burro, zucchero, lievito, un pizzico di sale e di polvere di agrumi, uova e le ortiche ripassate in padella sono gli ingredienti con i quali realizza diverse volte alla settimana questi biscotti molto richiesti.
Per poter provare l'eccezionalità di questi prodotti, e conoscere la solare genuinità di Serena, detta “la capruna de laurca” non vi resta che mettere lo zaino in spalla e partire per una bellissima passeggiata in montagna alla volta del Monte Legnone.


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